Riporto qui sotto alcune condivisibili considerazioni della traduttrice Isabella Blum che, nell’ambito di un discorso più ampio sulla punteggiatura, così scrive a proposito della comunicazione sui social network.
Nella nostra discussione sui segni di punteggiatura più problematici, sono rimasti per ora esclusi tre segni: più “semplici”, ma sui quali vale comunque la pena di spendere qualche parola. I puntini di sospensione; il punto interrogativo; il punto esclamativo.
Si tratta di segni di punteggiatura che possono caricarsi di una valenza emotiva e che vengono utilizzati con una funzione quasi-emoticon. In questi casi, molto spesso sono utilizzati in modo incontinente (treni di puntini di sospensione, o di punti esclamativi/interrogativi, o addirittura di entrambi – ogni frase si conclude con questi segni, mai un punto fermo che non ammicchi).
Questa tendenza – soprattutto quando l’unico modo in cui una persona comunica è con la scrittura di sms, post su FB e simili – ha un versante sinistro: ogni volta che lo scrivente deve esprimere un sentimento, non lo fa a parole, ma cliccando sull’emoticon adatta a descriverlo (per inciso, a volte, nella corrispondenza e-mail privata, lo farei volentieri anch’io, ma non mi riesce di trovare l’emoticon “giusta”, e ci rinuncio…).
Chi scrive non dice “Sono furioso, così furioso che ammazzerei qualcuno … quel vecchio stupido imbroglione. / Mi sento mortificato, umiliato, sono proprio a terra. / Scoppio di gioia – una gioia profonda che mi viene da ogni fibra del corpo. Canterei – se non fossi stonato. /Sono perplesso, sconcertato: non so proprio cosa pensare, il comportamento di X mi ha preso alla sprovvista./ Eccetera”. Semplicemente, costui clicca su una faccina… Non è che alla fine gli mancheranno le parole per esprimere i suoi stati emotivi?
Abbiamo visto che la scrittura è una capacità che va insegnata, studiata, ponderata, esercitata; se ci abituiamo a queste scorciatoie fin da bambini, non è che poi ci ritroviamo un po’ analfabeti?
Guardate che non è un problema banalmente linguistico. Per scrivere quello che provo, ho bisogno di analizzare i miei stati d’animo e di trovare, nella tavolozza delle parole, la coloritura giusta, la sfumatura che mi descrive. Questo implica un’autoanalisi. E se sto descrivendo qualcun altro, implica empatia. Intelligenza inter- e intra-personale. Il colpo d’occhio necessario a scegliere l’emoticon bypassa tutto questo lavoro intelligente. Contribuisce a renderci emotivamente analfabeti.
Isabella Blum è una traduttrice professionista e docente: qui il suo ponderoso curriculum.
“Cose da libri” è molto felice di ospitare il brano qui sopra, poiché Isabella, abituata da lunga pezza a navigare da una lingua all’altra, da una trasposizione all’altra, ha il raro dono di un’estrema chiarezza di scrittura, una caratteristica che questo blog, i lettori lo sanno, apprezza in sommo grado.
Isabella Blum ha molto da insegnare e lo insegna benissimo: insegna a tradurre e insegna a scrivere, con molta grazia e grande rigore. Non la trovate nel mainstream di corsi e scuole di scrittura creativa con i soliti noti, anche se sarebbe bene che di alcuni ci liberasse con la forza della sua competenza: lei organizza dense lezioni sul web, efficientissimamente organizzate, di quelle lezioni che quando hai finito “vorresti che l’autore fosse tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira”, lezioni di cui rivelare l’esistenza ad aspiranti autori, ad autori in cerca di un po’ di fresco, ad aspiranti traduttori e a traduttori navigati che vogliono continuare il loro viaggio.
Isabella, la parola, la squadra da ogni lato.
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