voi mi sottoponete i vostri manoscritti. io vi tengo per mano.

silvia brena, lucio salvini, l’ultimo respiro del corvo – l’omicidio caravaggio, skira editore, milano 2019
voi mi sottoponete i vostri manoscritti. io vi tengo per mano.
silvia brena, lucio salvini, l’ultimo respiro del corvo – l’omicidio caravaggio, skira editore, milano 2019
da tempo mrs. cosedalibri sostiene la necessità e la bellezza, per le ragazze, delle sneakers al posto degli invalidanti tacchi di qualsiasi altezza. adesso questa opinione è confortata dalle osservazioni della sovrana assoluta della moda, quella suzy menkes international editor di “vogue”. suzy le esprime in theorem[a] – the body, emotion + politics in fashion, di filep motwary, di recente uscita presso skira editore in collaborazione con polimoda. l’editor del volume, per ora solo in inglese, è la vostra anna albano, aka mrs. cosedalibri.
Filep Motwary: Come si collega la società ai vestiti che si sceglie di indossare? Cerchiamo un significato più profondo nell’abbigliamento?
Suzie Menkes: Non credo che la maggior parte delle persone cerchi un significato profondo. La maggior parte delle donne – e anche degli uomini – vuole abiti che si muovano con il corpo. Abbiamo superato l’epoca in cui le donne camminavano in punta di piedi su tacchi altissimi, o in cui gli uomini si infilavano in enormi gilet per apparire intelligenti. Le persone sono andate oltre.
L’abbigliamento semisportivo per le donne ha cambiato tutto. Ora è perfettamente normale andare in ufficio con pantaloni stretch e scarpe da ginnastica. Nelle metropolitane di qualsiasi città dell’Estremo Oriente, o in America, India, Europa, ovunque la gente indossa scarpe da ginnastica perché sono comode. Le scarpe sportive ti permettono di usare l’energia come ti aggrada, non ti rallentano e sono diventate anche simboli di prestigio. Anche stilisti di haute couture come Karl Lagerfeld di Chanel fanno sfilare le sneakers, che in passato si sarebbero indossate solo sui campi da tennis.
Adesso le scarpe sportive sono decorate e rimandano segnali di ogni tipo. Sono diventate cool e la gente ama indossarle. Direi che è successo negli ultimi sette anni, forse anche meno. In questo caso, tuttavia, non parliamo di un significato più profondo, ma di persone convinte che portare il tipo di scarpe che indossano i rapper o le star dello sport dia loro un’identità.
Quando parliamo di significato più profondo nei vestiti – un esempio potrebbero essere le persone che in passato indossavano abiti neri per segnare una morte nella loro famiglia (dopo la morte del marito la regina Vittoria vestì di nero per il resto della vita) –, non riesco a pensare davvero a nulla di simile nell’oggi, a qualcosa che manda un messaggio a tutti gli altri. Ci sono però senz’altro tipi di abbigliamento che esprimono certe caratteristiche. Prada ne è un esempio: i veri seguaci di Prada puntano a dire: “Come Miuccia Prada, apprezzo il lato artistico del mondo.” Ma pochi cercano questa profondità in quello che indossano. La maggioranza cerca soprattutto il comfort.
filep motwary, theorem[a] – the body, emotion + politics in fashion, skira/polimoda, milano 2018, editing a cura di anna albano
suzy menkes con pharrell williams. courtesy
“più in generale, dal punto di vista del pensiero ebraico e dell’atteggiamento che l’artista assume di fronte alla sua opera, si può ancora aggiungere che i maestri hanno guardato con riserva la stessa arte, in quanto l’artista con la sua creatività tende a sentirsi e quasi a sostituirsi a dio.”
scialom bahbout, L’arte nella normativa ebraica, la halakhà, in morasha.it, sezione zehùt
sta simbolicamente qui, nella “riserva” ebraica nei confronti dell’arte, una delle ragioni del titolo di grandangolo, bildungsroman di simone somekh che racconta la parabola di crescita di un giovane ebreo nato nei dintorni di boston in una famiglia di strettissima osservanza – con genitori che “non erano nati né cresciuti religiosi”, ortodossi per scelta tardiva, sempre desiderosi di essere accettati da un ambiente che continua a guardarli con qualche sospetto –, dalla quale a un certo punto della adolescenza si sente soffocato. espulso per aver fotografato una compagna di scuola nel bagno, sceglie non senza difficoltà, aiutato da una zia libera pensatrice, di continuare gli studi in una scuola più liberale. la ribellione di ezra kramer si sostanzia di un lavoro sulle immagini, quelle che scatta con l’adorato apparecchio che ha chiesto in regalo per il suo compleanno, producendo iconografia a mano a mano che in lui si produce l’insurrezione nei confronti dell’autorità. e non è un caso che, come vedremo più avanti, uno degli atti che sanciscono il suo percorso verso la maturità abbia il sapore dell’iconoclastia.
a una domanda sulle donne della sua comunità posta da uno dei nuovi compagni, in piena, dolente riflessione sul suo humus di provenienza, risponde “‘perché, gli uomini haredi possono prendere delle decisioni? […] mi pare che anche loro sappiano fin da piccoli che devono sposarsi e fare figli, e che quella sarà la loro vita’. le donne erano tanto prigioniere del mio mondo quanto lo erano gli uomini.”
e ancora, mentre si dibatte nella contraddizione tra il desiderio di andare e il senso di colpa e di straniamento che avverte a questa idea, “d’un tratto mi resi conto di quanto dovevo sembrare strano visto da fuori: criticavo, ma restavo sempre aggrappato a ciò che mi era stato insegnato da piccolo. pensai che non avrei mai avuto il coraggio di lasciare la mia comunità: l’appartenenza a quel mondo mi scorreva nelle vene. scappare equivaleva a tagliarsele, una ad una, fino a morire dissanguato.”
grandangolo affronta una serie di temi assai dibattuti in ambito ebraico, quali l’esistenza di interpretazioni più o meno rigide dell’ortodossia, la gestione del libero arbitrio, il valore dell’esperienza, l’omosessualità. alla fine ezra vede la propria ribellione stemperarsi di fronte a una normalità professionale fatta anche di compromessi, e decide di andare ad affogare la propria delusione a tel aviv: dove crede di vedere carmi – approdato dai kramer come conseguenza dell’affidamento a diverse famiglie dei numerosi figli della famiglia taub alla morte della madre –, di cui aveva perso le tracce dopo essersi trasferito a new york e per la cui sorte aveva temuto. è un attimo, ma ezra è convinto di averlo visto per davvero; e ricostruendo sguardi e segni cui non aveva dato peso durante il suo breve ritorno a boston per il funerale di sua zia, si rende conto che non può essere stato che il rabbino hirsch, con una decisione ipocrita quanto provvidenziale, a finanziare la fuga dell’amico scopertosi omosessuale da una comunità che gli sarebbe stata ostile per sempre.
l’attivista transgender abby stein fotografata da benyamin reich, che condivide con il protagonista di grandangolo la passione per la fotografia. anche la sua è una storia interessante
fin qui tutto bene, epperò: un autore di ventun anni (tanti ne aveva somekh all’epoca della stesura del libro) sottopone alla redazione di giuntina un manoscritto tanto interessante quanto tecnicamente acerbo; nel quale, in preda a una legittima ansia di mettere sul piatto istanze e questioni, lo stesso autore spesso fa parlare i suoi personaggi con registri un poco inadeguati. un esempio per tutti, la scena di sensualità ancora innocente in cui il poco più che bambino carmi dialoga con ezra in maniera un po’ troppo forbita, mostrando una capacità di approfondimento forse eccessiva per un ragazzo che non si è mai allontanato dal proprio ambiente: “carmi si distese sul mio letto, accanto a me, e mi strinse forte la spalla. ‘la tua opinione per me conta. la verità però è che sono terrorizzati. hanno così tanta paura di tradire la fede che preferiscono estremizzare ogni azione, devono essere certi di metterla in pratica nel modo più corretto’”. fa sorridere, poi, il commento del newyorkese travon quando vede la manipolazione creativa su alcune immagini di steven meisel fatta da ezra su una rivista (l’atto di iconoclastia cui si faceva cenno più sopra): “‘wow’, esclamò, ‘tanta roba’”, dove quel “tanta roba” sembra una maldestra traduzione dall’inglese in italiano di una locuzione giovanile. così come quando il coinquilino coreano di ezra dice “‘scusate, potete fare silenzio? sono in mezzo a una videoconferenza con seul’”: quella trasposizione senza mediazione dall’inglese “i’m in the middle of” dà conto dell’ambiente internazionale in cui si muove somekh, che probabilmente condiziona il suo italiano, ma anche dell’intervento insufficiente dell’editor sul manoscritto. se c’è un elemento negativo di questo libro, è la poca cura editoriale: si percepisce che il manoscritto è rimasto tale e quale a come è stato consegnato, con tutte le sue ingenuità. e invece i manoscritti dei giovani autori hanno bisogno di attenzione.
simone somekh, grandangolo, giuntina, firenze 2017, 174 pagine, 15 euro
oggi ricorre il compleanno di allen ginsberg. tra le altre iniziative per i festeggiamenti, che trovate sul pregevole the allen ginsberg project, una festa di genetliaco vera e propria – howl. a ginsberg birthday party – al fox theatre di boulder, colorado.
mi piace ricordarlo anche perché alla biennale di venezia sono attualmente in esposizione le opere di john latham, alcune delle quali si distinguono per un utilizzo massiccio di libri:
Nel 1958 è il libro a diventare l’elemento centrale delle sue opere. Se da un lato è segnato dagli autodafé nazisti del 1930, Latham è animato, oltre che da un atteggiamento distruttivo, dalla volontà di saturarsi di materia grigia”. Dopo una prima performance durante la quale dà fuoco all’Encyclopaedia Britannica per poi raccoglierne le ceneri, si sforza di masticare per intero Art and Culture, il saggio di Clement Greenberg punto di riferimento fondamentale del modernismo americano, che poi filtra e distilla in provette. L’utilizzo quasi ossessivo dei libri assume una rilevanza ancora maggiore con la realizzazione dei primi Skoobs, bassorilievi costituiti da libri e proiezioni di gesso nebulizzati di vernice (Untitled Relief Painting).
testo dal catalogo della biennale
catalogo della mostra, catalogo dei padiglioni e guida breve della biennale arte 2017. editing delle versioni italiana e inglese a cura della vostra anna albano
qui e oltre, opere di john latham fotografate alla biennale di venezia
particolare dell’opera qui sopra
l’11 giugno 1965 latham avrebbe dovuto prendere parte a una performance visiva organizzata in occasione della international poetry incarnation, alla royal albert hall di londra, che prevedeva la recitazione di opere dei poeti beat. per l’occasione l’artista si immerse in un bagno di vernice blu; svenne in conseguenza del freddo, fu portato sul palcoscenico privo di sensi e la performance non ebbe luogo.
ginsberg però si esibì ampiamente, come si vede nel video qui sotto. a voi, e ben ritrovati.
Dove sono stata? Accade spesso, se si lavora sui libri, di doversi per così dire assentare dalle cose sociali. Capita, in alcuni periodi, di essere talmente assorbiti da non poter svolgere compiti anche molto piacevoli come quello di scrivere sul proprio blog. Quando la grande ondata si va ritirando, tuttavia, può essere molto piacevole fare un bilancio del proprio percorso, diciamo, dell’ultimo mese.
Sono stata in Belgio
Dove ho incontrato committenti e colleghi gentili e rispettosi del lavoro altrui, rilassati, informali ma competentissimi. Persone che salutano, ringraziano, comunicano e non ritengono scandaloso parlare di soldi.
Sono stata in Inghilterra
Dove ho incontrato committenti e colleghi gentili e rispettosi del lavoro altrui, contraddistinti da quella stralunatezza unica, tipica di un paese che conferisce onorificenze a divi pop. E in effetti, se un progetto riguardava un luogo piuttosto paludato della cultura, il secondo è pervaso da un’essenza ancora più british: in un luogo superpaludato della cultura, a Londra, in maggio si terrà un evento psichedelico che richiede un libro psichedelico. Protagonisti: un leggendario prisma e un gruppo di autori assai bizzarri. I creativissimi grafici hanno concepito un volume in cui prisma e triangolo ricorrono nel font e in altri luoghi strategici dell’impaginato: una fonte di gioia e straordinario entusiasmo per chi scrive, che quando ha visto l’impaginato in anteprima ha quasi pianto.
Sono stata negli Stati Uniti
Dove necessitava di traduzione il materiale pubblicitario di un gioielliere simbolo di New York, che per il 2017 ha creato una collezione (bellissima) ispirata proprio a quella città.
Sono rimasta in Italia
A Venezia, dove fervono i lavori per una grande manifestazione in cui trionfa l’arte contemporanea.
A Roma, dove il simbolo ebraico per eccellenza sarà l’oggetto di una mostra, in maggio.
A Milano, dove si è aperta alla Triennale la mostra dedicata alla collezione di arte italiana tra le due guerre di Giuseppe Iannaccone, cui è stato dedicato un monumentale catalogo in doppia edizione italiana e inglese, con testi di autori varii curati in entrambe le lingue dalla vostra e pubblicato da Skira editore. La grafica è stata pensata da Mousse, con copertina in tela.
Lode finale alla condizione di libero professionista
Essere editor e traduttori è una condizione che a volte può apparire intellettualmente stancante, soprattutto nei periodi più pieni: ma la sensazione di trovarsi costantemente sulla soglia di altri mondi, di dover affrontare ogni volta questioni diverse, che richiedono la presenza del patrimonio professionale che si è costruito e un grande slancio verso le cose che stanno arrivando (perché non si può perdere nulla) è incomparabile. Nulla, credo, si può paragonare all’entusiasmo che ti assale quando sul piatto c’è un progetto nuovo, una sfida diversa, una richiesta insolita; nulla è più istruttivo e formativo, nel campo dei rapporti umani, dell’avere a che fare con persone diverse, del doversi psicologicamente confrontare con tante mentalità. Nulla, soprattutto, è più eccitante della libera professione: quell’idea di te stesso come persona eternamente in crescita.
[…] che senso ha, poniamo, una traduzione delle Metamorfosi di Ovidio in
prosa magiara? Il senso che altrimenti per tutti gli ungheresi che ignorano
il latino le Metamorfosi non esisterebbero per nulla.
Massimo Bocchiola, dall’introduzione al volume
Del Collegio Universitario Santa Caterina da Siena all’università di Pavia e del suo master di editoria avevamo già parlato agli albori, qui. Le Edizioni Santa Caterina esistevano già e nel frattempo sono cresciute, alimentate dal lavoro svolto ogni anno dagli allievi del master, e con la consulenza dell’editore Interlinea, il cui direttore editoriale è il benemerito Roberto Cicala, docente di editoria libraria alla Cattolica di Milano.
Di recente hanno pubblicato il nono dei Quaderni del Master di Editoria, Echi da Babele. La voce del traduttore nel mondo editoriale, un volume articolato in sei sezioni tematiche – poesia, fantastico, gerghi e dialetti, ragazzi, onirico e narrativa sociale – che si avvale della presentazione di Massimo Bocchiola. Il sommario è ricchissimo – lo pubblichiamo integralmente alla fine del post: Sergio Altieri parla della sua traduzione delle Cronache del ghiaccio e del fuoco (aka Trono di spade) di George R.R. Martin, Anna Jampol’skaja della sua passione per, e conseguente traduzione in russo di, Aldo Palazzeschi (l’ultima fatica è il Codice di Perelà); si affronta la vicenda della revisione e riedizione della saga di Harry Potter del 2011-2014 e si mettono a confronto le due traduzioni di Zazie nel metrò di Franco Fortini e di Viola Cagninelli (godetevi gli specchietti a pagina 158 e pagina 159, che mettono a confronto l’originale, Fortini e Cagninelli su tre colonne).
Aldo Palazzeschi in costume da gondoliere. Courtesy
Quanto alla traduzione in francese di Andrea Camilleri, il traduttore “Quadruppani decide in primo luogo di utilizzare saltuariamente alcune parole originarie del mezzogiorno francese, ma conosciute in tutto il paese, che diano ‘un parfum de Sud’. È il caso del termine di origine provenzale minot, utilizzato per tradurre picciriddu. Un ulteriore sforzo è quello di evocare, quando possibile, il suono stesso della narrazione camilleriana. Così il pirsona tipico dell’agente Catarella diventa pirsonne e il celebre ‘Montalbano sono’ rimane semplicemente ‘Montalbano je suis’, compiendo una forzatura che per l’orecchio di un francese risulta ben più ardita che per quello di un italiano.”
Serge Quadruppani, l’inventore di “Montalbano je suis”. Courtesy
Yasmina Melaouah racconta della sua traduzione del ciclo di Malaussène. Da pagina 205 troviamo la rievocazione della scia di sangue che ha portato con sé la traduzione dei Versi satanici di Salman Rushdie, con l’aggressione al coltello dell’italiano Ettore Capriolo, sopravvissuto, l’uccisione del giapponese Itoshi Igarashi e lo scampato attentato all’editore norvegese William Nygaard.
Il volume, confezionato e coordinato molto bene, ha il pregio di contenere molti esempi concreti e di presentarci la viva voce dei traduttori coinvolti: è una lettura consigliabile a chi desidera avvicinarsi al mondo della traduzione, di cui restituisce l’articolazione sfaccettata, ma anche a chi è già professionista, per farsi un’idea del lavoro delle generazioni che stanno arrivando.
AA.VV., Echi da Babele. La voce del traduttore nel mondo editoriale, Edizioni Santa Caterina, Pavia 2016, 280 pagine, 18 euro molto ben spesi
Sommario del volume
TESTI INTRODUTTIVI
Presentazione (Massimo Bocchiola)
Premessa
ECHI DA BABELE
Le lingue del fantastico
Che lingua parla il vento?
Tradurre il fantastico di Damasio: intervista a Claudia Lionetti
(Lorenzo Cetrangolo)
Ice and Fire: le cronache tradotte
George Martin secondo Sergio Altieri
(Francesco Zamboni)
L’ambiguit. dell’ordinario
Maurizio Nati traduce Humpty Dumpty in Oakland di Dick
(Giuseppe Aguanno)
La metrica della traduzione
Riscoprire l’America
Fernanda Pivano e la costruzione di un’antologia
(Elena Folloni)
Emily-Nessuno e la sua Lettera al Mondo
Ricezione e traduzione di Emily Dickinson in Italia
(Maria Ceraso)
Un atto creativo, non imitativo
La traduzione poetica secondo Franco Buffoni
(Anna Travagliati)
La vita accanto
Fabio Pusterla traduttore di Philippe Jaccottet
(Enea Brigatti)
Aldo Palazzeschi in Russia
Tradizione e traduzione: intervista ad Anna Jampol’skaja
(Andrea Papa)
Di fiore in fiore
L’Antologia Palatina tradotta da Salvatore Quasimodo
(Elena Villanova)
Un gioco da ragazzi
Il Piccolo Principe nasce a New York
Storia e fonti di una traduzione in “casa” Bompiani
(Diletta Rostellato)
Le magie della traduzione
La revisione della saga di Harry Potter
(Anna Guerrini)
Rodari a testa in giù
Una traduzione tra creativita editoriale e propositi educativi
(Mattia Gadda)
Le età di Zazie
Zazie nel metrò: due traduzioni a confronto
(Vanessa Nascimbene)
Gerghi e dialetti
Da Vigata a Parigi
Le traduzioni francesi di Andrea Camilleri
(Flavio Mainetti)
Tradurre la lingua dei morti
El llano en llamas, da Juan Rulfo
a Maria Nicola
(Lorenzo Baccari)
Un romanzo, tante voci, mille colori
La traduzione del ciclo di Malaussène di Daniel Pennac
(Rossana Mancini)
Società e narratori
Le identit. di Gomorra
Viaggio alla scoperta delle edizioni straniere
(Anna Chiara Sartorello)
Una traduzione “pericolosa”
I versi satanici di Salman Rushdie
(Giulia Maurelli)
Manuale per una traduzione accelerata
Pensante, Coupland e la traduzione di Generation X
(Giuseppe Musso)
Pagine oniriche
Un romanzo straniero di un autore italiano
Requiem, storia di un’autotraduzione mancata di Tabucchi
(Letizia Spettoli)
Pecore, amore e fantasia
I titoli che hanno lanciato Murakami Haruki in Italia
(Chiara Costa)
L’impresa epica dell’Ulisse di Joyce
Le fatiche e le avventure del Celati traduttore
(Marco Adornetto)
In conclusione
Fate caso al nome del traduttore?
Un’indagine fra i lettori
(Anna Laura Carrus)
INDICI
Indice dei nomi
Indice delle collane e delle case editrici
dove improvvisamente si comprende quale debba essere lo scopo della propria vita professionale
i wanna be like robert when i grow up
le norme redazionali di una casa editrice sono perlopiù il frutto di un lavoro collettivo e generalmente anonimo. generazioni di capiredattori e redattori puntigliosi hanno scritto, rivisto, emendato, aggiornato le regole che distinguono l’una casa editrice dall’altra sul piano delle scelte formali e tipografiche. molto spesso si tratta di meri affari di virgolette, a sergente o caporali, di punteggiatura interna o esterna alle stesse. oppure di d eufoniche, di modi di scrivere le date.
le norme sono generalmente in disuso: certo, può ancora capitare, in specie nelle case editrici di narrativa, che vestali nevrotiche – generalmente provviste di set di borse in stoffa stipate di bozze e di contenitori per alimenti (a mangiare non escono mai) – ti comunichino con occhi spiritati che è assolutamente necessario pubblicare i richiami di nota a esponente e ti raccomandino la massima attenzione al refuso. ciò serve a risparmiare la fase della preparazione tipografica del testo e la sua successiva correzione, un tempo demandata al correttore di bozze. è l’indicazione della casa editrice, cui non possono fare a meno di attenersi.
c’è stato un tempo glorioso in cui le figure al lavoro su un libro erano diverse e distinte, in cui le fasi della preparazione di un testo erano affidate a figure professionali specifiche – chi leggeva per il senso, chi correggeva refusi, provvedeva alle uniformità e vigilava sulla conformità alle norme editoriali, chi fotocomponeva. un tempo ovviamente non replicabile e non applicabile all’oggi: questa è l’epoca dell’ottimizzazione di costi e tempi, della sintesi di diverse professionalità in una figura unica, pagata il meno possibile. ciò comporta il paradossale vantaggio di favorire i più esperti e di penalizzare quelli che stanno imparando: l’editore avveduto tende ovviamente a servirsi di professionisti capaci di muoversi agilmente e velocemente all’interno dei meccanismi di produzione. oppure sceglie di non servirsene affatto, e questo porta alla deludente performance formale di editori eccellenti come sellerio (molti dei suoi libri sono pieni di refusi), o come einaudi, maxime in collane quali “stile libero”.
torniamo alle norme redazionali. di recente ho ritrovato un antico libriccino che raccoglie quelle di un editore milanese, ben compilato e ben impaginato. fa molta tenerezza, perché si conclude con le seguenti parole:
“Se possibile, nel caso in cui si utilizzi un sistema Macintosh si formatti il dischetto in modo che sia leggibile anche da sistemi DOS (Altro – Inizializza…)”.
ma il meglio di sé questa pubblicazioncina lo dà alla voce Corsivo, con due esempi formidabili:
“f) I segni di interpunzione vanno in corsivo solo se parte integrante di un titolo, di una frase o di una parola in corsivo. Es.: Mi mostrò la sua camera: “Non è bella? Legno norvegese!”
h) Le parentesi, i numeri di nota e le virgolette non devono mai essere in corsivo. Es.: …e una dura pioggia cadrà / (“E cosa hai sentito, figlio dagli occhi azzurri”).
chi fu l’anonimo estensore amante dei beatles e di bob dylan?