cose da libri

dove si esplorano parole e si va a caccia di idee


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una poesia d’amore sulla schiena

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charles simić. courtesy

è agosto e a milano il caldo morde ancora. è tempo di starsene a letto o sul divano, tapparelle semiabbassate, a dormicchiare o creare. charles simić ama creare così, come una messe di suoi predecessori. ascoltiamolo da un articolo della “repubblica” pubblicato qualche anno fa. e leggiamo la poesia di andré breton (ascoltiamola anche dalla voce del suo autore) citata nel testo, antidoto contro la misère du monde.

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andré breton. courtesy

“Tutti gli scrittori hanno i loro piccoli ‘trucchi’ del mestiere. Il mio è che scrivo a letto. ‘Sai che roba!’, penserete voi: lo facevano anche Mark Twain, James Joyce, Marcel Proust, Truman Capote e tanti altri. Vladimir Nabokov teneva persino delle schede sotto il cuscino, per quelle notti in cui non aveva sonno e aveva voglia di scrivere. Però, non ho mai sentito di altri poeti che scrivessero a letto, anche se non mi viene in mente nulla di più naturale di scribacchiare con la biro una poesia d’amore sulla schiena della persona amata. Certo pare che Edith Sitwell di solito dormisse in una bara per prepararsi all’ orrore ben più grande di trovarsi di fronte la pagina bianca. Robert Lowell scriveva steso sul pavimento, o almeno così ho letto da qualche parte. L’ho fatto anch’io, qualche volta, ma preferisco il materasso e, stranamente, non sono mai stato tentato dal divano, dalla chaise longue, dalla sedia a dondolo o da altre varietà di sedute confortevoli. ‘La poesia si fa a letto, come l’amore’, scriveva André Breton in una delle sue poesie surrealiste. Ero molto giovane quando la lessi e ne rimasi incantato. Confermava la mia esperienza personale. Quando mi si accende il desiderio di scrivere, non ho scelta: devo continuare a starmene steso o, se ho lasciato la posizione orizzontale qualche ora prima, devo tornare di corsa a letto. Che ci sia silenzio o rumore non mi cambia nulla. Negli alberghi appendo fuori dalla porta il cartellino ‘Non disturbare’ per tenere lontane le cameriere che aspettano di pulirmi la stanza. Devo dire, con un certo imbarazzo, che rinuncio spesso a fare il giro dei monumenti e dei musei per rimanere a letto a scrivere. […]”

charles simić

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l’ombra lunga di gustave_come nascono i discorsi di emmanuel macron

 

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emmanuel macron. courtesy

in un bellissimo articolo di mauro zanon, pubblicato sul “foglio” del 14 ottobre scorso, si traccia il profilo di sylvain fort, il consigliere responsabile dei “discorsi e della memoria” di emmanuel macron.

 

 

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sylvain fort. courtesy

dopo aver dichiarato gli intenti della comunicazione della république – che propugna fondamentalmente una visione dinamica rispetto alla democrazia, da non considerare come bene acquisito una volta per tutte, e rispetto all’identità nazionale, da continuare a costruire riprendendo lo spirito dei lumi e la fiducia nell’europa.

 

“prima di scrivere i discorsi di macron e tessere il nuovo romanzo nazionale francese, sylvain fort, quarantacinque anni, è stato studente dell’école normale supérieure, professore di lettere classiche all’università paris IV e sciences po, traduttore di friedrich schiller, biografo di puccini e herbert von karajan – un homme de lettres attivissimo che durante la campagna presidenziale ha trovato anche il tempo per pubblicare un vivace libretto su antoine de saint-exupéry”, scrive zanon. intervistato dallo stesso, sylvain fort dichiara che “il discorso è diventato per il presidente il suo modo di esprimersi privilegiato. […] la sua volontà è quella di far passare un messaggio chiaro, netto, comprensibile, e di sfuggire alle frasette, agli off the record selvaggi alle confidenze strappate durante una cena. è una parola voluta, e non subìta. […] in tutti i discorsi non spieghiamo soltanto cosa vogliamo fare, ma anche perché. spieghiamo la coerenza tra quello che è annunciato e l’interesse nazionale. [macron, in quanto presidente] non entra nel microdettaglio tecnico, ma dà ogni volta una dinamica, una direzione generale all’azione politica, che soggiace a ciò che sta dicendo”.

 

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andré malraux. courtesy

ma quello a cui è interessato “cose da libri” è il fondamento culturale, nella fattispecie letterario, che informa l’ideazione e la redazione dei discorsi del giovane emmanuel: “il fil rouge della cultura è anch’esso molto presente nei discorsi di macron, una tradizione che rifà a malraux”. lo scrittore andré malraux istituì il ministero della cultura in francia e scrisse il primo articolo del decreto che lo sanciva: “Il Ministero incaricato degli Affari Culturali ha come missione di rendere accessibili le opere capitali dell’umanità, e ancor prima della Francia; di assicurare la più vasta diffusione del suo patrimonio culturale; di favorire la creazione delle opere dell’arte e dello spirito che lo arricchiscono”.

 

così prosegue l’articolo: “oltre a fort, altri membri della staff del presidente francese hanno dimostrato di avere una vocazione letteraria, oltre che politica. come il giovanissimo quentin lafay, ventisette anni, che oltre a collaborare alla stesura dei discorsi durante i meeting in campagna, ha anche pubblicato un romanzo, la place forte (gallimard). ‘macron ama riunire attorno a sé persone che hanno una certa capacità di enunciazione, persone che non esitano a teorizzare, a concettualizzare, e che hanno bisogno del linguaggio, dunque dei letterati’, dice fort. ‘è attento al fatto che si debbano esprimere le cose nella loro complessità, e che si debba evitare, per assenza di vocabolario o di cultura, di semplificare troppo, di utilizzare un linguaggio semplicistico. […] non rinuncia mai alla precisione delle parole. è convinto del fatto che esprimere le cose con le parole giuste è già un passo importante verso l’azione. se si ha un lessico povero, si ha anche una visione del mondo povera.”

 

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gustave flaubert. courtesy

e adesso sentite gustave: “questa cura della bellezza esteriore che mi rimproverate è per me un metodo. quando trovo una brutta assonanza o una ripetizione in una delle mie frasi, sono sicuro che sto sguazzando nel falso”.
 è quella “tensione flaubertiana verso l’impeccabilità” di cui parla alessandro piperno in un suo bell’articolo sul club della lettura del “corriere della sera”, in cui discetta di stile e mette flaubert al primo posto tra coloro i quali più si sono spesi alla sua ricerca. e allora come possiamo concludere? con la parola continuità. piccardo l’uno, emmanuel macron, e normanno l’altro, gustave flaubert: nati a un centinaio di chilometri l’uno dall’altro, entrambi sotto il segno del sagittario: vive la france.

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eugène delacroix, la liberté guidant le peuple. courtesy

 


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dove si incontra un vecchio amico nel bel mezzo di un affresco, si va a piedi dall’uno all’altro arrondissement e si approda in un giardino di delizie

i lionesi sono perlopiù pacifici e gentili: tutti coloro a cui ho chiesto indicazioni mi hanno risposto volentieri e in maniera molto circostanziata, e molti mi hanno accompagnata per un tratto assicurandosi che andassi nella direzione giusta.

durante le mie lunghissime passeggiate non ho mai provato disagio o sensazione di pericolo: sarà la lunga ombra del capitano chérif, ma la città sembra piuttosto tranquilla, fatti salvi alcuni inevitabili balordi che tuttavia non paiono comprometterne la sostanziale paciosità.dig

la bellezza e la calma dei lungofiume verso ora di pranzo, quando turisti e locali perlopiù mangiano ed è facile trovarsi quasi da soli a passeggiare, sono impareggiabili. le attività serali / notturne degli avvinazzati che là vanno a gozzovigliare dopo il tramonto sporca in alcuni tratti la maestosità delle acque: molte sono le bottiglie vuote sulle rive, qualcuna addirittura galleggia sul fiume.

lungo la saona, l’angolo formato da rue de la martinière e da quai saint-vincent, nel primo arrondissement, ospita il bellissimo fresque des lyonnais.

realizzata dagli artisti della cité de la création, l’opera cita e raffigura ventiquattro personaggi della cultura di origini lionesi (si veda qui per l’elenco dei personaggi). dav

 

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antoine de saint-exupéry

 

quale non è stata la sorpresa di mrs. cosedalibri nel vedere rappresentato anche il suo idolo bernard pivot, l’autore della televisione culturale francese, l’anima di “apostrophes” e di “bouillon de culture”! per chi comprende il francese, qui si può guardare una bella intervista a bernard.

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bernard pivot, insuperato giornalista culturale

da rue de la martinière, passando per il quai saint-vincent, si approda all’immensa place bellecour, gigantesco nido di delizie letterarie. collocata tra saona e rodano, nel secondo arrondissement, è una piazza immensa, i cui giardini sono attrezzati con chioschi di ristorazione e panchine, e tutto attorno alle due fontane sono disposte sedie per chi desidera rilassarsi nei pressi dell’acqua, facendosi cullare dal rumore degli zampilli.IMG_20170809_155214.jpg

al numero 29 della piazza sorge la libreria decitre, parte di una catena e risalente al 1907, che mrs. cosedalibri ha visitato in piena rentrée scolaire: vasti settori dedicati a letteratura, scienze umane, turismo, arte, storia, religione, infanzia, gialli e fumetti, libri scolastici e un assortimento fiabesco di cancelleria. oltre a una piccola fornitura di inchiostri colorati per le sue stilografiche – nei colori radiant pink e harmonious green di waterman –, mrs. cosedalibri ha acquistato tre taccuini, tutti giapponesi, tra cui il favoloso life: tutti a righe, con una carta splendida, promessa di scrittura assai scorrevole. bisognerà adesso provarli con le stilografiche e capire se si contemperano con la grafite delle matite palomino.IMG_20170809_150032.jpg

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dove, all’ingresso di una libreria fisica, si celebra l’integrazione tra la lettura su ebook e quella su libri di carta: tea, la soluzione per vendere libri digitali in libreria

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la sezione cancelleria

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i taccuini giapponesi

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qui e sotto, caccia al tesoro nella libreria decitre: indovinare il titolo dalla citazione, con l’indizio del libraio

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la sacra teca della pléiade

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1,46 eventi al giorno in libreria

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creare una casa in libreria: un fiore su un tavolo

in questa piazza assai libresca, in cui trovano posto anche le misteriose éditions baudelaire (solo su appuntamento, recita la targa: che vorrà dire?) troneggia la statua del lionese antoine de saint-exupéry, che ci guarda dall’alto in compagnia del piccolo principe.IMG_20170809_154326_1.jpg

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place bellecour non finisce, ma si trasforma senza soluzione di continuità in place saint-antonin, dove al numero 5 si trova l’expérience, una libreria piena di fascino specializzata in fumetti, che vende anche stampe, action figures e il resto collegato al settore.IMG_20170809_162607.jpg

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il gigantesco bouquet che conclude place saint-antonin e segna il confine simbolico tra la piazza e il fiume rodano

 


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e del papel español por cigaritos

in rue de brest, nel secondo arrondissement, c’è il tabaccaio “le maryland”. ah, le memorie dell’università, il ricordo di pétrus borel! mi convinco che il proprietario del negozio è un lettore di questo infernale minore francese che ho imparato a conoscere al tempo degli studi.

digpétrus borel, “il licantropo”, “stralunato eroe di alcune imprese fragili e concluse” – secondo la definizione che ne dà il mio antico professore di francese, monsieur bruno pompili, nel suo il segno del licantropo (introduzione a pétrus borel – opera polemica, bari 1979) –, fu un eterno dissidente e un arguto fallito. repubblicano faute de mieux, in piena monarchia di luglio ebbe a dichiarare: “sono repubblicano perché non posso essere caraibico; ho bisogno di un’enorme quantità di libertà; me la garantirà, la repubblica?”
e dopo aver definito la propria un’epoca in cui al governo sedevano ottusi contabili e mercanti d’armi, e il re di francia un uomo il cui motto recitava “sia lodato dio, e anche i miei negozi!”, pétrus vagheggiava: “fortuna che per consolarci di tutto questo ci resta l’adulterio! il tabacco del maryland! e del papel español por cigaritos.”


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more postcards from london 6_con aggiornamenti sull’identità di phileas fogg che faranno piacere alle signore

digmr. fogg’s tavern è il posto che mrs. cosedalibri, affezionatissima al giro del mondo in ottanta giorni, non vedeva l’ora di vedere.

davfrequentatissimo come tutti i pub da persone che si riversano sul marciapiede a chiacchierare, è intitolato al celeberrimo protagonista del libro, di cui jules verne traccia il ritratto che segue.

Nell’anno 1872, la casa contraddistinta con il numero 7 in Savile Row, a Burlington Gardens – casa nella quale nel 1814 era morto Sheridan – era abitata dall’egregio signor Phileas Fogg, uno dei membri più singolari e più notati del Club della Riforma di Londra, quantunque egli si studiasse di non fare cosa alcuna che potesse attirare l’attenzione su di lui.

Questo Phileas Fogg, che prendeva il posto di uno dei più grandi oratori che sono l’onore dell’Inghilterra, era un personaggio enigmatico, di cui non si sapeva nulla, se non che egli appariva un fior di galantuomo e uno fra i più bei “gentlemen” dell’alta società inglese. Si diceva che egli somigliasse a Byron – nella testa, perché quanto ai piedi non era possibile metterglielo a confronto –, ma era un Byron con i mustacchi e i favoriti, un Byron impassibile, che avrebbe potuto vivere mill’anni senza invecchiare. Inglese per certo, Phileas Fogg non era forse londinese. Non lo si era mai visto né alla Borsa né alla Banca né in alcun altro ufficio della gran finanza della City londinese. Le darsene del porto di Londra non avevano mai ospitato una nave che avesse per armatore Phileas Fogg. Questo “gentleman” non figurava in alcun consiglio di amministrazione. Il suo nome non era mai risuonato in un collegio di avvocatura, né al Tempio né a Lincoln’s Inn né a Gray’s Inn. Non aveva mai esercitato né alla Corte del Cancelliere, né al Banco della Regina né all’Echiquier né alla Corte ecclesiastica. Non era industriale né negoziante né mercante né agricoltore. Non faceva parte né dell’Istituzione Reale della Gran Bretagna, né dell’Istituzione di Londra, né dell’Istituzione degli Artigiani, né dell’Istituzione Russell, né dell’Istituzione Letteraria dell’Ovest, né dell’Istituzione del Diritto, né di quell’Istituzione delle Arti e delle Scienze riunite, che è posta sotto il diretto patrocinio di Sua Graziosa Maestà. Insomma egli non apparteneva a nessuna delle numerose società che pullulano nella capitale inglese, dalla Società dell’Armonica fino alla Società Entomologica, sorta principalmente con lo scopo di distruggere gli insetti nocivi.

Phileas Fogg era membro del Club della Riforma, ecco tutto. Può stupire che un individuo tanto misterioso figurasse tra i membri di quell’onorevole circolo. Ma va considerato che vi era stato ammesso dietro raccomandazione dei banchieri Fratelli Baring presso i quali aveva un notevolissimo conto aperto: un conto in cui Phileas Fogg risultava invariabilmente creditore, quantunque spiccasse con frequenza grossi mandati a vista che i banchieri Baring pagavano puntualmente. Quest’insieme di cose, come è naturale, gli aveva procurato una profonda stima.

Phileas Fogg era dunque ricco? Senza dubbio. Ma in che modo si era arricchito? Ecco ciò che nemmeno i meglio informati potevano dire; e il signor Fogg era proprio l’ultimo a cui convenisse rivolgersi per saperlo.

Comunque, egli non si mostrava minimamente prodigo; ma neanche avaro. Ogni volta che gli fosse chiesto denaro per un’opera nobile, giusta e generosa, lo dava, senza strombazzamenti o celandosi addirittura dietro l’anonimato.

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sdrho fantasticato moltissimo sui viaggi di phileas fogg e del suo domestico passepartout, da cui è nata la mia passione per i club inglesi, da cui ho appreso che le vedove indiane seguono la sorte dei mariti defunti immolandosi su pire ardenti, e che il macintosh, prima di essere un computer, è una coperta da viaggio.

aggiornamenti sull’identità di phileas fogg che faranno piacere alle signore

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phileas fogg visto da fiona staples. courtesy


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Dove si scoprono molti profumi, storie letterarie a essi legate e si incontra una pasionaria

The rose looks fair, but fairer we it deem
For that sweet odour which doth in it live
.

William Shakespeare, Sonnet 54

 

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Quest’anno mrs. cosedalibri si è recata all’edizione 2016 di Esxence sicura di trovare cose interessanti su letteratura e arte, almeno al pari dell’anno scorso. Esxence è una fiera del profumo d’arte che riunisce produttori da tutto il mondo, dalla Francia all’Olanda, dalla Thailandia a Dubai. Tutti espongono nello spazio The Mall, in piazza Lina Bo Bardi a Milano, nel quale ho trovato un’atmosfera preziosa, un po’ stordente, di reminiscenza baudelairiana tanto quanto quella dell’edizione passata:

[…] Profumi freschi come la pelle d’un bambino,

vellutati come l’oboe e verdi come i prati,

altri d’una corrotta, trionfante ricchezza

che tende a propagarsi senza fine – così

l’ambra e il muschio, l’incenso e il benzoino

a commentare le dolcezze estreme dello spirito e dei sensi.

Corrispondenze, in Charles Baudelaire, Poesie e prose, a cura di G. Raboni, Mondadori,

Milano 1973

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Accolti da un albero portatore della civiltà umana, si passa attraverso il morbido controllo degli addetti, sulla soglia di quello che separa il mondo all’esterno da questa fiaba continua. Quest’anno una fiaba con qualche tocco di pop rock, e parecchia attenzione ai tatuaggi. In molti, tra gli espositori, parlano di storie, racconto, poesia.

1.Michael Partouche aka Dr Mike è il fondatore di Room 1015, nonché farmacista e rocker. Tornato in Francia dopo una permanenza a Londra, scopre la passione per il profumo e crea Electric Wood, con note legnose che rimandano alla sua prima chitarra; Atramental, vale a dire nero come l’inchiostro, con pepe nero, zafferano e bergamotto – l’idea è quella dell’odore della pelle che abbia appena subìto un tatuaggio; Blomma Cult, celebrazione del Flower Power e della liberazione sessuale, con note di vaniglia, cannella, muschio e naturalmente patchouli; l’ultima nata Power Ballad, esaltazione del ballo lento, del French Kiss, del gin, della tequila e del cuoio delle Dr. Marten’s indossate dai grunge negli anni novanta.

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2.Olivier Durbano, per il quale le pietre, alle quali i suoi profumi si ispirano, sono poesie, e ogni cosa è racconto.

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3.Tara Manra è una delle fragranze che rientrano nella nuova linea Gri Gri di Jardins d’écrivains, profumiere letterario per eccellenza: ispirata ai testi sacri sanscriti, ha la testa di zafferano e cardamomo, il cuore di loto e gelsomino e il fondo di loto, gelsomino e legno di agar.

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4.Il sempre strepitoso État libre d’Orange, la cui novità di quest’anno è il profumo ispirato a À quoi songeaient les deux cavaliers dans la forêt, poesia dalle Contemplazioni di Victor Hugo.

La nuit était fort noire et la forêt très-sombre.
Hermann à mes côtés me paraissait une ombre.
Nos chevaux galopaient. A la garde de Dieu !
Les nuages du ciel ressemblaient à des marbres.
Les étoiles volaient dans les branches des arbres
Comme un essaim d’oiseaux de feu. […]

Galbano, ribes nero, incenso, pepe nero, rosa, patchouli, legni e ambroxan per questo profumo dedicato all’ombra e al doppio. Ho ricevuto tutte le informazioni sul profumo dal sempre impeccabile Thomas Lindet.

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Lindet meritava un primo piano, no?

5. Il Profvmo, azienda italiana acquistata dalla svizzera Valmont (il naso è Silvana Casoli), è il caso più misterioso: non desidera che si parli della novità di settembre, legata alla letteratura come non mai. Posso solo anticipare che si tratterà di una trilogia, che l’ispiratore è uno scrittore inglese (oh, quanto!) e che in qualche modo c’entrano i dintorni di Venezia.

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6.Eau scandaleuse di Anatole Lebreton, piccolo profumiere di Marsiglia. “Una creatura esuberante attraversa lo studio di un pittore. Scivola voluttuosamente tra poltrone in cuoio consunto, tele ancora umide e vecchi libri rilegati in pergamena”: è il racconto di questo profumo “carnale e inebriante”, compagno di altre “poesie olfattive”, come Lebreton definisce le altre sue creazioni.

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7. Appena si accede al sito di Tola, Dubai, si legge la frase “With Every Scent Comes A Story”, e ancora “Tola is the quintessence of memories; of stories within stories…”. La storia che il naso e fondatore Dhaher Bin Dhaher racconta a Esxence è quella di una sosta nel deserto, con tè caldo e kebab (il kebab che si vede nella foto è in realtà composto di una serie di sfere profumate), profumata di coriandolo, bergamotto, lavanda, zafferano. Ah, l’orientalismo.

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Al centro, il naso della maison Tola Dhaher Bin Dhaher

 

 

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Il kebab profumato

8.Gérald Ghislain racconta dal 2000 le sue Histoires de parfums, nelle parole del profumiere una biblioteca olfattiva che scrive storie sulla pelle. Profumi contrassegnati con le date di nascita degli scrittori: 1804, dedicato a George Sand; 1873, Colette; 1740, De Sade; 1828, Jules Verne. Quest’anno la letteratura si mescola all’arte con Ceci n’est pas un flacon bleu, rimando magrittiano colorato di blue Klein: lo stand, presieduto da Marina Crosa – direttrice delle vendite per l’Europa e volenterosa narratrice –, è dominato da una macchina per scrivere tutta blu, collocata accanto a un libro in carta pregiata che ci parla del concept del profumo. Fragranza aldeidata bisex (è la tendenza del momento), contiene geranio, miele, arancia amara, patchouli.

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9.Gabriella Chieffo è un ingegnere ambientale il cui debutto nella profumeria artistica risale a qualche anno fa. La sua collezione 2016 si inaugura con Maisìa, fragranza che Gabriella definisce come “il grido delle donne che un tempo venivano bruciate vive, il grido delle donne tuttora arse al rogo del pregiudizio, di quelle sterminate tra le mura di casa, quello lacerante delle donne che in alcuni luoghi vengono ancora sottoposte a pubbliche esecuzioni sotto lo sguardo ipocrita e inerme del mondo. È il grido di ombre che fanno rumore, il grido di ombre che fanno luce”. Di ombre e di luci è fatta la scultura che campeggia su una parete dello stand di Gabriella Chieffo, e di molte lettere dell’alfabeto. Le note di Maisìa sono foglie di fico, bergamotto, limone, narciso, ginestra, legno affumicato di guaiaco, sandalo, ambra nera e una evocativa nota di cenere.

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10.Isabel Beauty è un’azienda che per creare alcuni dei suoi profumi si affida alla penna e al naso di Fulvio Fronzoni, che tra gli altri ha creato Words, fragranza dal lettering urbano, quadrilogia che compone un messaggio d’amore impaziente.

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Luisa Battiston, perfetta storyteller

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Fulvio Fronzoni

11. Dusita Paris. Dusita è un racconto d’amore, un omaggio letterario, una storia remota. Ploi Umavijiani è la figlia di Montri Umavijani, uno dei più grandi intellettuali thailandesi contemporanei, nato nel 1941 e morto nel 2006. In omaggio alla memoria del padre, scrittore, poeta e traduttore – intraprese la traduzione della Divina Commedia, che vide concluso solo l’Inferno –, Ploi ha creato la maison Dusita (in siamese vuol dire paradiso), che produce profumi ispirati ai versi di Montri. Colpisce subito, arrivati allo stand, un corposo libro verde, raccolta completa delle poesie di Umavijiani che il poeta non ha potuto vedere realizzata e oggetto attorno al quale ruota tutto il senso dell’azienda. Il kit promozionale che Ploi distribuisce con molta grazia contiene, oltre alle tre fragranze Issara, Mélodie de l’amour infini e Oudh Infini, un micropieghevole con una selezione delle poesie di suo padre.

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Così scrive Montri dello scrivere:

 Conosco la scrittura

solo come un cadere da,

e un avvicinarsi a,

ma non mi è dato sapere

cosa sia.

Scrittura, in A Thai Divine Comedy, 1980

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In basso, il micropieghevole con una selezione di poesie di Montri Umavijani

L’immagine grafica è progettata da un designer francese di cui non ricordo il nome perché ho perso il suo biglietto da visita, comunque bravissimo nel perseguire un equilibrio tra ornato orientale e rigore. Il marchio Dusita è fiore, farfalla, forma geometrica contenuta e compiuta.

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Il designer dell’immagine Dusita

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 P.s.: nel medesimo weekend a Milano si è tenuta anche una manifestazione intitolata Book Pride, di cui avevamo già parlato qui. Non mi attirava molto, come tutte queste iniziative con programmi sociologici, che si occupano di cose eque, solidali, giuste. Sapevo che i fans dell’editoria sindacalizzata sarebbero andati in brodo di giuggiole per l’Evento: quello che viene definito “storico accordo tra editori e traduttori“, il protocollo dal titolo “Le buone pratiche per un’editoria sana”. Lo so, lo so che i traduttori sono vessati eccetera (sono anche in buona parte una manica di nojosi con l’ossessione di essere citati, che raccolgono attorno a sé altre maniche di nojosi impiegati variamente in editoria, blogger che appiccicano sui loro siti bigliettini tipo “io non menziono libri in cui il traduttore non sia citato” o cose del genere. Si lagnano spesso di non essere pagati, ma per qualche motivo non assoldano avvocati per risolvere le loro questioni). Forse dovrei comunque andare a dare un’occhiata, mi dico. Allora torno a consultare il programma e mi accorgo che il 2 aprile alle 11 è previsto un incontro dal titolo “Partorire in movimento, i movimenti del bacino durante il parto”. La scia della mia risata omerica mi sospinge verso piazza Lina Bo Bardi, verso il lusso, la creatività, il mistero, la joie de vivre. Dove gli operai dell’editoria non mettono piede.


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Vive la France_i fratelli Goncourt, le classi inferiori e il Romanzo

academie-goncourt.fr

Edmond e Jules de Goncourt

Alcuni avvenimenti occorsi nell’anno 1865*

° La capitale d’Italia si trasferisce a Firenze.

° Un fanatico schiavista uccide Abraham Lincoln, cui succede il vicepresidente Andrew Johnson.

Il Congresso degli stati Uniti approva il tredicesimo emendamento della Costituzione, che abolisce la schiavitù.

° Lewis Carroll (pseudonimo di Charles Lutwidge Dodgson) pubblica Alice nel Paese delle Meraviglie.

e.wikipedia.org

Edouard Manet, Olympia, 1863. Parigi, Musée d’Orsay

° Édouard Manet dipinge Olympia.

° Si tiene la prima rappresentazione di Tristano e Isotta, opera di Richard Wagner.

° J.C. Maxwell formula la teoria elettromagnetica della luce.

° Nascita del Massachusetts Institute of Technology.

 E sempre nel 1865 i fratelli Goncourt pubblicano Germinie Lacerteux, la cui prefazione è ricordata come il manifesto della scuola naturalista, in cui i fratelli, tra l’altro, postulano il diritto democratico al Romanzo delle classi inferiori.

Dobbiamo chiedere scusa al pubblico per questo libro che gli offriamo e avvertirlo di quanto vi troverà. Il pubblico ama i romanzi falsi: questo è un romanzo vero.

Ama i romanzi che dànno l’illusione di essere introdotti nel gran mondo: questo libro viene dalla strada.

Ama le operette maliziose, le memorie di fanciulle, le confessioni d’alcova, le sudicerie erotiche, lo scandalo racchiuso in un’illustrazione nelle vetrine di librai: il libro che sta per leggere è severo e puro. Che il pubblico non si aspetti la fotografia licenziosa del Piacere: lo studio che segue è la clinica dell’Amore.

Il pubblico apprezza ancora le letture anodine e consolanti, le avventure che finiscono bene, le fantasie che non sconvolgono la sua digestione né la sua serenità: questo libro, con la sua triste e violenta novità, è fatto per contrariare le abitudini del pubblico, per nuocere alla sua igiene.

Perché mai dunque l’abbiamo scritto? Proprio solo per offendere il lettore e scandalizzare i suoi gusti? No.

Vivendo nel diciannovesimo secolo, in un’epoca di suffragio universale, di democrazia, di liberalismo, ci siamo chiesti se le cosiddette “classi inferiori” non abbiano diritto al Romanzo; se questo mondo sotto un mondo, il popolo, debba restare sotto il peso del “vietato” letterario e del disdegno degli autori che sino ad ora non hanno mai parlato dell’anima e del cuore che il popolo può avere. Ci siamo chiesti se possano ancora esistere, per lo scrittore e per il lettore, in questi anni d’uguaglianza che viviamo, classi indegne, infelicità troppo terrene, drammi troppo mal recitati, catastrofi d’un terrore troppo poco nobile. Ci ha presi la curiosità di sapere se questa forma convenzionale di una letteratura dimenticata e di una società scomparsa, la Tragedia, sia definitivamente morta; se, in un paese senza caste e senza aristocrazia legale, le miserie degli umili e dei poveri possano parlare all’interesse, all’emozione, alla pietà, tanto quanto le miserie dei grandi e dei ricchi; se, in una parola, le lacrime che si piangono in basso possano far piangere come quelle che si piangono in alto.

Queste meditazioni ci hanno indotto a tentare l’umile romanzo di Suor Filomena, nel 1861; e adesso ci inducono a pubblicare Le due vite di Germinie Lacerteux.

Ed ora, questo libro venga pure calunniato: poco c’importa. Oggi che il Romanzo si allarga e ingrandisce, e comincia ad essere la grande forma seria, appassionata, viva, dello studio letterario e della ricerca sociale, oggi che esso diventa, attraverso l’analisi e la ricerca psicologica, la Storia morale contemporanea, oggi che il Romanzo s’è imposto gli studi e i compiti della scienza, può rivendicarne la libertà e l’indipendenza. Ricerchi dunque l’Arte e la Verità; mostri miserie tali da imprimersi nella memoria dei benestanti di Parigi; faccia vedere alla gente della buona società quello che le dame di carità hanno il coraggio di vedere, quello che una volta le regine facevano sfiorare appena con gli occhi, negli ospizi, ai loro figli: la sofferenza umana, presente e viva, che insegna la carità; il Romanzo abbia quella religione, che il secolo scorso chiamava con il nome largo e vasto di Umanità; basterà questa coscienza: ecco il suo diritto.

E. e J. de Goncourt, prefazione a Germinie Lacerteux,1865, trad. it. di O. Del Buono, Rizzoli, Milano 1951

* Le notizie sono tratte dalla Cronologia universale, Rizzoli, Milano 1994

Qui troverete un profilo della coppia letteraria; dal loro Journal, invece, prendiamo un autoritratto tracciato da Jules, riportato qui sotto (qui potrete prelevare un estratto del Journal).

(29 agosto 1865)

Seduti a tavola, dopo cena, parliamo di noi stessi.

In me c’è la linfa del XIX secolo, una vita tutta spirituale di pensiero. Eppure non so se, vivendo in un altro secolo, per esempio in Germania nel Cinquecento, non mi sarei trovato in un’atmosfera più adatta alla mia natura, in un’atmosfera di forza e di materialismo, mangiando del cinghiale, bevendo e scopando. C’è in me un fondo animale che, a quanto pare, non si è sviluppato completamente.

Non ho le stesse aspirazioni dell’altro di noi. Lui, se non fosse quello che è, avrebbe la passione profonda per il matrimonio, per il sogno borghese, per la vita in compagnia di una donna sentimentale. Io sono un materialista melanconico; lui un temperamento passionale, tenero e melanconico.

Ancora: io sento in me qualcosa dell’abate del Settecento e anche qualcosa della perfidia ironica del rinascimento italiano; provo orrore del sangue, della crudeltà, della sofferenza fisica, ma ho una certa inclinazione alla cattiveria spirituale.

In Edmond, al contrario, c’è quasi della bonarietà. È nato in Lorena, è uno spirito tedesco – ce ne accorgiamo per la prima volta –, mentre io sono un latino di Parigi.

Edmond si immagina perfettamente dedito alla carriera militare in un altro secolo; si riconosce il sangue lorenese, non gli dispiace la lotta e ama la fantasticheria. Io, piuttosto, mi vedo a mio agio nei maneggi dei capitolari, nelle diplomazie dei monasteri, con la grande vanità di beffare uomini e donne per procurarmi un piacere con lo spettacolo dell’ironia. C’è forse, nella sorte del maggiore e del cadetto, una predestinazione che viene dalla natura e che un tempo aveva radici nella società?

Strana cosa! In noi, dopo tutto, c’è una totale differenza di temperamento, di gusto, di carattere e la più assoluta identità di idee, di giudizi, di simpatie e di antipatie per le persone, di ottiche intellettuali. Il nostro cervello vede allo stesso modo e con gli stessi occhi.

 I fratelli Goncourt hanno tutta la mia invidia, poiché la loro vita consisteva nell’andare a teatro, a cena e a passeggio con Flaubert, Zola, Sainte-Beuve, Gautier, Baudelaire (“Baudelaire mangia di fianco a noi, senza cravatta, col collo scoperto, la testa rasata, in tenuta da condannato alla ghigliottina. Una sola ricercatezza: mani piccole, nette, pulite, scrupolosamente curate. La testa di un folle, la voce nitida come la lama di un coltello”, Journal, ottobre 1857).

Page_1Potevano permettersi di non lavorare e trascorrevano un tempo assai lieto, leggendo, scrivendo e conversando, assai più fortunati di coloro i quali si ammalavano a causa del lavoro, di cui parla il dottor Philips in un altro brano del Journal (7 luglio 1869), affetti da “certe malattie del tutto moderne, di malattie nervose che nascono da lavori meccanici, dalla ripetizione continua degli stessi gesti per sette ore consecutive come accadde alle donne che cuciono a macchina; di una particolare malattia del midollo spinale, che colpisce i macchinisti sballottati dalle vibrazioni continue; di forme di necrosi, che colpiscono alla mascella inferiore le ragazze che lavorano nelle fabbriche di fiammiferi.”

Occupazioni del tutto sconosciute ai nostri fratelli nella vita e nella letteratura, abitanti di una Parigi baciata da un fermento ben diverso da quello oscuro e mortifero che si agita attualmente nel suo ventre.

Paris._Notre-Dame_Cathedral,_ca._1865-ca._1895

Parigi, la cattedrale di Notre Dame, circa 1865 – circa 1895