io odio google maps. non perché sono vecchia, ma perché mi noja sul serio.
ma mettete quella freccia dove deve essere e ditemi esattamente dove devo andare, per la miseria. non devo essere io a far compiere evoluzioni al telefono. non devo lavorare per voi.
così ieri, dovendo andare a piedi in un luogo molto lontano, ho segnato su un foglietto tutte le tappe principali, fino alla meta. alcuni luoghi li conoscevo, per molti altri ho chiesto ai passanti.
una delle ultime persone cui ho chiesto è stata una portinaia dall’apparenza amerindia. “buongiorno, signora, sa indicarmi piazza pompeo castelli?” “è un po’ lontano, al di là del ponte. le conviene prendere il tram per tre fermate.” “no, grazie, vorrei andare a piedi.” “allora sempre dritto. ma cammini dall’altra parte, così si riscalda”. l’altra parte era il lato soleggiato della strada.
vi ricordate di nerino lantignotti? mrs cosedalibri ne aveva parlato qui, fantasticando sulla sua identità. nerino, nella mente di chi scrive, aveva frequentato tutti i libri. nerino aveva e ha un nome che richiama cose buone.
stamattina, appena sollevata la tapparella, ho rivisto la macchina di nerino sul marciapiede di fronte. nerino ha cambiato la grafica del suo biglietto da visita su ruote. da scritta rossa in campo bianco è divenuta una scritta bianca su una fascia blu.
non avevo notizie di nerino dal 2017, l’anno in cui lo incontrai per la prima volta. mi ha colta una felicità subitanea, ho aperto la finestra e ho guardato il veicolo a lungo. nerino, lui, non è comparso. ma io so che è vivo, e che tra qualche anno potrò scrivere un terzo post su di lui.
è disponibile per il download, sul sito della biblioteca di via senato, il numero di giugno dell’omonimo mensile. a pagina 27 si trova l’ameno contributo di sandro montalto sui protopost-it, le maniculae, manine con l’indice in fuori disegnate sui margini dei libri per evidenziare contenuti specifici, che mrs. cosedalibri raccomanda di non perdere. ne pubblichiamo un estrattino, antipasto di puro diletto.
“[…] Può capitare, sfogliando un volume antico, di imbattersi in una manina (tecnicamente manicula, o anche ‘manine di attenzione’) manoscritta nei margini (questa terra di nessuno sempre ricca di messaggi ora evidenti ora misteriosi) che indica un certo passaggio. Talvolta stilizzata e tracciata forse con una certa fretta, talaltra disegnata con cura, questa manina era un segno utilizzato nell’Europa medioevale e rinascimentale per evidenziare un passaggio del testo. Per molto tempo considerati segnali di scarsa importanza, di recente queste espressioni grafiche hanno attirato l’attenzione dei filologi testuali e si sono spesso rivelate indizi preziosi. […]
Difficile determinare quando sia nato questo uso, ma sappiamo che la diffusione delle maniculae è iniziata nel XII secolo (le prime tracce si trovano in manoscritti spagnoli), che divennero più comuni dal XIV secolo, e che l’uso si è protratto in maniera significativa fino al secolo XVIII.
È curioso osservare come ogni lettore personalizzava la sua manina: alcune sono decorate, altre hanno dita lunghissime (spesso l’indice, a volte tutte), altre ancora sono quasi ossute o cicciotte; alcune hanno anelli o braccialetti, altre (quasi tutte) no, qualcuna ha le unghie; in alcuni casi possono essere molto elaborate (mani che escono da anfore o dal becco di uccelli, o anche essere raffigurate insieme all’intera figura umana) e talvolta sono state disegnate, non si sa se per divertimento, a partire da un braccio che sembra orientato dalla parte opposta; in certi casi sono accompagnate da piccole annotazioni (come ‘nota’, oppure ‘no’ quando il lettore si fosse trovato in disaccordo o avesse trovato errori nella composizione della pagina); in altri casi ancora – molto più rari – il lettore ha usato una manina per portare convintamente l’attenzione non su parte del testo ma sulla propria osservazione manoscritta a margine, e in rarissimi ma curiosi casi le dita sembrano tramutarsi in veri e propri tentacoli per evidenziare passaggi distanti fra loro (come avviene in una copia del Paradoxa stoicorum di Cicerone conservata presso la Bancroft Library). […]
Maniculae se ne trovano ovunque: molte ne usava John Dee (affascinante figura di bibliofilo, matematico, geografo, astronomo e astrologo inglese), che ne ha disegnate (decisamente semplici) nei libri della sua grande biblioteca e anche nell’inventario dei propri libri che aveva preparato nel 1583 (Catalogue of Dr Dee’s Library, Trinity College, Cambridge, O.4.20); diverse furono disegnate, talvolta nel suo caratteristico enfatico inchiostro rosso, da Matthew Parker, arcivescovo di Canterbury, teologo e collezionista (la sua biblioteca divenne uno dei nuclei originari della biblioteca del Corpus Christi College, a Cambridge). Ma sono solo due fra mille lettori, spesso anonimi. Due illustri autori della nostra letteratura che hanno lasciato alcune maniculae autografe sono Boccaccio, le cui molte manine avevano l’indice lunghissimo e, solitamente, un polsino con i bottoni (si rivela un buon disegnatore), e Petrarca che pur essendo un buon calligrafo non disegnava quasi mai manine realistiche e accurate.”
qui il sommario della rivista:
Uomini e Libri
GIAMPIERO MUGHINI:
L’HOMME À PAPIER
di Massimo Gatta
Sicilia
PIETRO DA EBOLI E IL SUO
‘INNO’ ALL’IMPERATORE
di Nino Insinga
Libri
BREVE STORIA DI
UN SEGNO D’ATTENZIONE
di Sandro Montalto
Bibliofilia
LA LEGENDA AUREA
DI JACOPO DA VARAZZE
di Giancarlo Petrella
Editoria
LA LUMACAGOLOSA
DI DANIELE FERRONI
di Antonio Castronuovo
Scrittori
IMMAGINI, PAROLE E
VISIONI DELLA RECHERCHE
di Giuseppe Scaraffia
BvS: Archivio Malaparte
MALAPARTE E LA FINE
DE IL SOLE È CIECO
(prima parte)
di Deborah Terzolo
IN DODICESIMO – Le rubriche
LO SCAFFALE DEL BIBLIOFILO –
IL LIBRO DEL MESE –
RIFLESSIONI E
INTERPRETAZIONI –
L’OZIO DEL BIBLIOFILO –
IL LIBRO D’ARTE
di Giancarlo Petrella, Mario Bernardi
Guardi, Carlo Sburlati, Antonio
Castronuovo e Luca Pietro Nicoletti
chi fosse interessato a un altro articolo sulle maniculae può consultare “rivista studio”, qui.
da tempo mrs. cosedalibri sostiene la necessità e la bellezza, per le ragazze, delle sneakers al posto degli invalidanti tacchi di qualsiasi altezza. adesso questa opinione è confortata dalle osservazioni della sovrana assoluta della moda, quella suzy menkes international editor di “vogue”. suzy le esprime in theorem[a] – the body, emotion + politics in fashion, di filep motwary, di recente uscita presso skira editore in collaborazione con polimoda. l’editor del volume, per ora solo in inglese, è la vostra anna albano, aka mrs. cosedalibri.
Filep Motwary: Come si collega la società ai vestiti che si sceglie di indossare? Cerchiamo un significato più profondo nell’abbigliamento?
Suzie Menkes: Non credo che la maggior parte delle persone cerchi un significato profondo. La maggior parte delle donne – e anche degli uomini – vuole abiti che si muovano con il corpo. Abbiamo superato l’epoca in cui le donne camminavano in punta di piedi su tacchi altissimi, o in cui gli uomini si infilavano in enormi gilet per apparire intelligenti. Le persone sono andate oltre.
L’abbigliamento semisportivo per le donne ha cambiato tutto. Ora è perfettamente normale andare in ufficio con pantaloni stretch e scarpe da ginnastica. Nelle metropolitane di qualsiasi città dell’Estremo Oriente, o in America, India, Europa, ovunque la gente indossa scarpe da ginnastica perché sono comode. Le scarpe sportive ti permettono di usare l’energia come ti aggrada, non ti rallentano e sono diventate anche simboli di prestigio. Anche stilisti di haute couture come Karl Lagerfeld di Chanel fanno sfilare le sneakers, che in passato si sarebbero indossate solo sui campi da tennis.
Adesso le scarpe sportive sono decorate e rimandano segnali di ogni tipo. Sono diventate cool e la gente ama indossarle. Direi che è successo negli ultimi sette anni, forse anche meno. In questo caso, tuttavia, non parliamo di un significato più profondo, ma di persone convinte che portare il tipo di scarpe che indossano i rapper o le star dello sport dia loro un’identità.
Quando parliamo di significato più profondo nei vestiti – un esempio potrebbero essere le persone che in passato indossavano abiti neri per segnare una morte nella loro famiglia (dopo la morte del marito la regina Vittoria vestì di nero per il resto della vita) –, non riesco a pensare davvero a nulla di simile nell’oggi, a qualcosa che manda un messaggio a tutti gli altri. Ci sono però senz’altro tipi di abbigliamento che esprimono certe caratteristiche. Prada ne è un esempio: i veri seguaci di Prada puntano a dire: “Come Miuccia Prada, apprezzo il lato artistico del mondo.” Ma pochi cercano questa profondità in quello che indossano. La maggioranza cerca soprattutto il comfort.
filep motwary, theorem[a] – the body, emotion + politics in fashion, skira/polimoda, milano 2018, editing a cura di anna albano
non ho mai incontrato nessuno dei miei amici […] nella solita maniera; erano estranei, e vivevano unicamente nei loro scritti. ma nonostante fossero compagni-ombra, erano comunque presenti, potenti, e sorprendenti. nel senso che dicevano cose straordinarie, che hanno cambiato il mio mondo.
In quest’ora dico cose in confidenza,
Potrei non dirle a tutti, ma le dirò a te.
whitman è stato il fratello che non ho avuto […] splendeva al crepuscolo nella mia stanza, in cui andavano accumulandosi libri, quaderni e stivali sporchi di fango, e la vecchia underwood di mio nonno.
La mia voce va dove i miei occhi non possono giungere,
con un ruotare di lingua circondo mondi e volumi di mondi.
[…]
così, quando cominciai a scrivere poesie, quelle di whitman mi stavano davanti come modelli. intendo il potere oceanico e il rombo che percorrono la poesia di whitman: la sintassi rapinosa, le dichiarazioni smisurate. in quegli anni la verità mi sfuggiva, così come la mia fiducia di poterla riconoscere e contenere. whitman mi ha salvaguardato dalle paludi di un’incertezza peggiore, e ho vissuto molte ore dentro il cerchio illuminato della sua sicurezza, e della sua spavalderia. […] e c’era la passione che profondeva nelle sue poesie. la curiosità metafisica! la tenerezza profetica con cui guardava al mondo: la sua brutalità, le sue differenze, le stelle, il ragno, nulla stava al di fuori della sua sfera di interessi. mi deliziavo della specificità delle sue parole. […]
ma prima di tutto ho imparato da whitman che la poesia è un tempio, o un prato verde, un posto in cui entrare e in cui sentire. l’aspetto intellettuale viene dopo […] ho imparato che la poesia non è fatta solo per esistere, ma per parlare: per fare compagnia.
ricordo il vagare, l’oziare, i giorni meravigliosi in cui, in compagnia di whitman, ho infilato i pantaloni negli stivali, sono andata e mi sono divertita.
mary oliver, my friend walt whitman, in upstream, penguin press, new york 2016
l’amore e la necessità profonda della creatività – del potere di creare e modificare mondi – nelle parole di mary oliver, della quale mrs. cosedalibri ha tradotto indegnamente un frammento. è l’invito di “cose da libri”, che ritorna nel giorno in cui un tempo si tornava a scuola. con l’augurio, per questo nuovo anno, di svegliarsi nel cuore della notte per cantare e, quando viene il giorno, di essere felici senza ragione.
dove si frequenta campo santa margarita e si scoprono una libreria, un piccolo caffè e la caducità dell’amore
la marco polo di venezia, la primogenita di campo santa margarita – un’altra sede è stata aperta di recente alla giudecca – è una libreria ad angolo che ha preso il posto di un negozio di antiquariato.
in uno spazio ridotto ma bene articolato propone una ben curata selezione di editori piccoli e medi, con le novità sul bancone all’ingresso e tutto il resto su sobri scaffali di un bel grigio; c’è una stanza con una panchina rossa che invita alla sosta e una porta aperta sul magazzino, e poi un cunicolo con la poesia e le guide di viaggio.
questa foto dell’interno della marco polo proviene dal sito della libreria: non è stata scattata da mrs. cosedalibri
a sinistra dell’ingresso, in un angoletto molto cosy, c’è un piccolo tavolo con uno scaffalino dove sono riposti tè, caffè, bollitori e tazze.
questa foto dell’interno della marco polo proviene dal sito della libreria: non è stata scattata da mrs. cosedalibri
il campo in cui si trova la marco polo, uno dei più grandi di venezia, è un luogo incantevole, con un piccolo mercato del pesce corredato di gabbiani buongustai e un bellissimo caffè in miniatura.
una delle cose che mi sono più piaciute della marco polo è il motto che hanno fatto stampare su segnalibro e borse: “don’t look for love, look for books”. l’affermazione che anche un sentimento tenuto in gran conto come l’amore rivela tutta la propria caducità di fronte all’eternità garantita dell’intimo rapporto con i libri.
questi relativamente affabili librai mi sono andati a genio. e perché mrs. cosedalibri non ha fotografato l’interno della libreria? perché se la stava spassando. voi però credetele sulla parola, e andate a visitarla.
Libreria MarcoPolo – Santa Margherita
Campo Santa Margherita
Dorsoduro 2899 – Venezia
orario
10.00 – 22.00 da lunedì a sabato
11.00 – 20.00 domenica e festivi
Tel.: +39 041 8224843
Libreria MarcoPolo – Giudecca
Giudecca 282 – Venezia
(alla fermata del vaporetto Palanca girare a sx e proseguire per 300 metri)
orario
10.00 – 20.00 da martedì a sabato
domenica e lunedì chiuso
da martedì 16 gennaio in libreria comincia un corso di scrittura: veneziani, informatevi qui.
si può dire, su “cose da libri”, una botta di allegria? si può dire, si può dire, se parliamo della “supermostra” dedicata ai sessant’anni di esselunga, per mrs. cosedalibri il supermercato più bello che c’è.
al the mall di piazza lina bo bardi hanno fatto davvero le cose in grande, con risultati strepitosi: sei decenni di lavoro restituiti in un allestimento pieno di gioia, dominato dal caldissimo giallo esselunga. chi vuole prende un cestino con le ruote, proprio quello che si usa per fare la spesa, vi sistema i propri averi e parte alla volta di una giocosa wunderkammer, cui si approda dopo aver assistito a un breve filmato, uno show immersivo che ricorda l’esordio del 1957, quello del primo negozio in viale regina giovanna (tra i soci fondatori, bernardo caprotti e nelson rockefeller).
dopo il bianco e nero della memoria ci si immerge nella festosa polisensorialità della wunderkammer, dove una enorme distesa di oggetti ricompone i decenni sessanta e settanta insieme con la musica – i beatles, rino gaetano, i pooh –, le luci, lo zootropio, una sorta di cartone animato in 3d che riproduce il making of delle celebri lasagne esselunga. c’è tanta stampa d’epoca: i fotoromanzi di “grand hotel”, “rakam”, “il milanese”, “grazia”, “confidenze”, alcuni con titoli di strabiliante attualità, che propongono questioni non ancora risolte negli anni duemila. non manca una ricca parte di cancelleria, proveniente dagli archivi di fratelli bonvini.
si prosegue con gli anni ottanta – esselunga è la prima azienda in Italia a introdurre, proprio nel 1980, il lettore di codice a barre alle casse – rappresentati dai primi macintosh, dalla postazione per giocare a supertetris, dalla suggestiva evocazione di una discoteca. nella sala giganteggia un trono in velluto che evoca i punti fragola, ove chi lo desidera può farsi immortalare.
proseguendo si arriva a una sala popolata di sculture e quadri raffiguranti le celeberrime campagne pubblicitarie di armando testa, da john lemon a giovanni verza.
cappelletto rosso
la visita termina in un ambiente immersivo completamente rivestito di specchi, che propone immagini della filiera produttiva accompagnate da musica; sulla via verso l’uscita si può sostare nell’area bar, che non poteva che chiamarsi “esselounge”.
gli organizzatori di feel rouge forniscono informazioni con molta gentilezza. per la stampa hanno preparato un volume edito da rizzoli in cui sessanta parole percorrono la storia dell’azienda fondata da caprotti, del quale tra l’altro si possono leggere gli appunti autografi. chi fosse interessato alle persone che hanno prodotto e sostanziato questa meraviglia segua l’asterisco * e troverà una breve descrizione e una parte del colophon.
aperta dal 29 novembre, la mostra rimarrà aperta fino al 6 gennaio a ingresso gratuito.
andateci, è come un bagno di sole in questo nostro freddissimo inverno milanese.
*come si legge nel comunicato stampa ufficiale, “La SuperMostra nasce da un’idea di Esselunga, il concept è stato sviluppato da Andrea Baccuini, Mauro Belloni e Studio Giò Forma. L’evento è stato prodotto da FeelRouge Worldwide Shows in base al progetto di Studio Giò Forma e ai contenuti di Mauro Belloni. L’immagine della locandina della mostra è di Giovanni Gastel ed è stata tratta dal volume 60 parole per dire Esselunga, edito da Rizzoli, realizzato in occasione dell’anniversario di Esselunga”.
qualche voce dal colophon, assai denso di signore:
“Nerino, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi.”
“La signora Lantignotti disse che i fiori sarebbe andata a comprarli lei. Poiché Nerino aveva già il suo bel da fare.”
“Se davvero avete voglia di sentire questa storia, magari vorrete sapere prima di tutto dove sono nato e com’è stata la mia infanzia schifa e che cosa facevano i miei genitori e compagnia bella prima che arrivassi io, e tutte quelle baggianate alla Nerino Lantignotti, ma a me non mi va proprio di parlarne.”
“Dalla finestrina della sua camera, sopra la scuderia della fabbrica di mattoni, Nerino Lantignotti, quella mattina sul presto, vide la gente, in cappotto lungo, che correva tutta nella stessa direzione. Vey iz mir, pensò a disagio, è successo qualcosa di brutto.”
“A Londra, all’inizio del mese di giugno del 1929, l’antiquario Nerino Lantignotti, di Smirne, offrì alla principessa di Lucinge i sei volumi in quarto minore (1715-1720) dell’Iliade di Pope”.
“Tutta colpa di Nerino. È lui il mio sassolino nella scarpa. E se proprio devo essere sincero, è per togliermelo che ho deciso di cacciarmi in questo casino, cioè di raccontare la vera storia della mia vita dissipata.”
“Mr e Mrs Lantignotti, di Privet Drive numero 4, erano orgogliosi di poter affermare che erano perfettamente normali, e grazie tante.”
“Nerino non leggeva i giornali, altrimenti avrebbe saputo quali guai si stavano preparando non soltanto per lui, ma per tutti i cani di forte muscolatura e col pelo lungo e soffice da Puget Sound a San Diego.”
Qualche giorno fa, nei pressi di casa mia, mi sono imbattuta in un lindo camioncino da artigiano. Il proprietario di quel camioncino si chiama Nerino Lantignotti. Appena ho letto questo nome, così gozzaniano, così poco attuale, mi sono figurata un onesto lavoratore d’altri tempi, un po’ come il padre del muratorino nel libro Cuore. Quello che segue è il punto in cui il padre, nel loro diario a due voci, spiega al figlio perché la spalliera che il proletario compagno di scuola di Enrico aveva macchiato di bianco non andava ripulita in sua presenza: “Lo sai, figliuolo, perché non volli che ripulissi il sofà? Perché ripulirlo, mentre il tuo compagno vedeva, era quasi un fargli rimprovero d’averlo insudiciato. E questo non stava bene, prima perché non l’aveva fatto apposta, e poi perché l’aveva fatto coi panni di suo padre, il quale se li è ingessati lavorando; e quello che si fa lavorando non è sudiciume: è polvere, è calce, è vernice, è tutto quello che vuoi, ma non sudiciume. Il lavoro non insudicia. Non dir mai d’un operaio che vien dal lavoro: – È sporco. – Devi dire: – Ha sui panni i segni, le tracce del suo lavoro. Ricordatene. E vogli bene al muratorino, prima perché è tuo compagno, poi perché è figliuolo d’un operaio.”
Il muratorino si chiamava Antonio Rabucco, e dunque anche suo padre si chiamava Rabucco: eppure Nerino Lantignotti non avrebbe sfigurato, al tempo di De Amicis.
Insomma, quando ho letto sul furgoncino “Nerino Lantignotti” mi ha colta un empito d’affetto, per Nerino e per il consorzio umano tutto. Se c’è ancora qualcuno che porta questo nome, mi sono detta, possiamo ancora sperare per il futuro. Davvero, Nerino, ti voglio bene.
E se qualcuno dei lettori dovesse conoscere Nerino e sapere che è un orco, che nega il cibo ai figli e batte la moglie, be’, non ditemelo, ché alla signora cosedalibri piace sognare.
dove si incontra un vecchio amico nel bel mezzo di un affresco, si va a piedi dall’uno all’altro arrondissement e si approda in un giardino di delizie
i lionesi sono perlopiù pacifici e gentili: tutti coloro a cui ho chiesto indicazioni mi hanno risposto volentieri e in maniera molto circostanziata, e molti mi hanno accompagnata per un tratto assicurandosi che andassi nella direzione giusta.
durante le mie lunghissime passeggiate non ho mai provato disagio o sensazione di pericolo: sarà la lunga ombra del capitano chérif, ma la città sembra piuttosto tranquilla, fatti salvi alcuni inevitabili balordi che tuttavia non paiono comprometterne la sostanziale paciosità.
la bellezza e la calma dei lungofiume verso ora di pranzo, quando turisti e locali perlopiù mangiano ed è facile trovarsi quasi da soli a passeggiare, sono impareggiabili. le attività serali / notturne degli avvinazzati che là vanno a gozzovigliare dopo il tramonto sporca in alcuni tratti la maestosità delle acque: molte sono le bottiglie vuote sulle rive, qualcuna addirittura galleggia sul fiume.
lungo la saona, l’angolo formato da rue de la martinière e da quai saint-vincent, nel primo arrondissement, ospita il bellissimo fresque des lyonnais.
realizzata dagli artisti della cité de la création, l’opera cita e raffigura ventiquattro personaggi della cultura di origini lionesi (si veda qui per l’elenco dei personaggi).
andré-marie ampère
antoine de saint-exupéry
quale non è stata la sorpresa di mrs. cosedalibri nel vedere rappresentato anche il suo idolo bernard pivot, l’autore della televisione culturale francese, l’anima di “apostrophes” e di “bouillon de culture”! per chi comprende il francese, qui si può guardare una bella intervista a bernard.
bernard pivot, insuperato giornalista culturale
da rue de la martinière, passando per il quai saint-vincent, si approda all’immensa place bellecour, gigantesco nido di delizie letterarie. collocata tra saona e rodano, nel secondo arrondissement, è una piazza immensa, i cui giardini sono attrezzati con chioschi di ristorazione e panchine, e tutto attorno alle due fontane sono disposte sedie per chi desidera rilassarsi nei pressi dell’acqua, facendosi cullare dal rumore degli zampilli.
al numero 29 della piazza sorge la libreria decitre, parte di una catena e risalente al 1907, che mrs. cosedalibri ha visitato in piena rentrée scolaire: vasti settori dedicati a letteratura, scienze umane, turismo, arte, storia, religione, infanzia, gialli e fumetti, libri scolastici e un assortimento fiabesco di cancelleria. oltre a una piccola fornitura di inchiostri colorati per le sue stilografiche – nei colori radiant pink e harmonious green di waterman –, mrs. cosedalibri ha acquistato tre taccuini, tutti giapponesi, tra cui il favoloso life: tutti a righe, con una carta splendida, promessa di scrittura assai scorrevole. bisognerà adesso provarli con le stilografiche e capire se si contemperano con la grafite delle matite palomino.
dove, all’ingresso di una libreria fisica, si celebra l’integrazione tra la lettura su ebook e quella su libri di carta: tea, la soluzione per vendere libri digitali in libreria
la sezione cancelleria
i taccuini giapponesi
qui e sotto, caccia al tesoro nella libreria decitre: indovinare il titolo dalla citazione, con l’indizio del libraio
la sacra teca della pléiade
1,46 eventi al giorno in libreria
creare una casa in libreria: un fiore su un tavolo
in questa piazza assai libresca, in cui trovano posto anche le misteriose éditions baudelaire (solo su appuntamento, recita la targa: che vorrà dire?) troneggia la statua del lionese antoine de saint-exupéry, che ci guarda dall’alto in compagnia del piccolo principe.
place bellecour non finisce, ma si trasforma senza soluzione di continuità in place saint-antonin, dove al numero 5 si trova l’expérience, una libreria piena di fascino specializzata in fumetti, che vende anche stampe, action figures e il resto collegato al settore.
il gigantesco bouquet che conclude place saint-antonin e segna il confine simbolico tra la piazza e il fiume rodano