anna: “baricco mi ha sempre affascinata, anche per come parla e descrive le cose. lo seguivo in televisione, ma non ero mai riuscita a leggere qualcosa di suo. adesso ci provo con oceano mare.”
mrs. cosedalibri: “bisogna anche dire che baricco non è male.”
anna: “certo, è anche un bell’uomo.”
anna sta leggendo oceano mare al tavolino di un bar vicino a piazzale dateo. il bar è gestito da una squadra mista sino-italiana che collabora in armonia. la città attorno freme silente nel calore agostano. se fossimo in campagna si sentirebbe frinire attorno. non so se anna sieda a quel tavolino totalmente serena. nel suo sguardo pacato c’è qualcosa che grida aiuto. stiamo qui e ci presentiamo, fiduciose nelle parole e negli atteggiamenti. dopo il nostro cameo estivo questa lettrice e io non ci vedremo più.
l’articolo del “corriere della sera” ci porta nel laboratorio di gian antonio garlaschi, self-made man con un passato da odontoiatra e da custode di musei, che cura e ripara i volumi usurati dai troppi prestiti o rovinati da lettori poco attenti. buona lettura.
la gelateria clover, in zona bande nere, è anche una caffetteria, e fa un latte macchiato con i fiocchi. l’interno ospita tre minuscoli tavolini – immacolati, come tutto in questo locale –, in attesa dell’estate, quando torneranno ad animarsi i posti all’esterno. il personale e la proprietaria ricevono i clienti con squisita cortesia.
la gelateria clover, a sinistra dell’ingresso, ha una minuscola stazione di bookcrossing. il primo libro sulla destra, quando al clover è entrata mrs. cosedalibri, era il baco da seta, di robert galbraith, prodotto in condizione di bonaccia, dopo la travolgente tempesta di harry potter, da j.k. rowling sotto pseudonimo. esito superbo della calma, però, da cui è stata tratta strike, una piccola, preziosa serie tv che prende il nome dall’investigatore protagonista ed è prodotta dalla bbc.
al clover si scrive benissimo: puoi fermarti con il tuo taccuino (o il tuo libro – portato da casa o scelto tra quelli che aspettano sul termosifone) ed essere certo che nessuno ti disturberà.
al clover si può anche fare merenda, e qui il letterato trova crêpes per i suoi denti: perché le crêpes del clover si chiamano
la visita a questa gelateria, che sprizza bonomia pur proponendo anche specialità vegane – non si adontino i seguaci del veganesimo: alcuni tra loro cercano di fare proselitismo instillando sensi di colpa nel prossimo, un atteggiamento assai fastidioso – è stato un piccolo dono in una fredda giornata di sole, in cui chi scrive disperava di trovare un luogo accogliente in una zona che proprio accogliente non è. grazie, signore clover*, ci rivedremo senz’altro.
loredana laurenti accanto al mini bookcrossing di clover
*le signore clover sono loredana laurenti e ilaria angelillo, madre e figlia. fanno in casa molte delle delizie che propongono, e ilaria è copywriter di sé stessa. i titoli dei prodotti sono suoi: tra i molti segnalo gli ammutinati, dolcetti al cocco e cioccolato il cui nome fa ironica concorrenza alla celebre barretta industriale.
questo post è stato scritto su un taccuino clairefontaine papier vélin velouté 90g/m2 fabriqué en france par clairefontaine, con una stilografica caran d’ache collezione chromatics che montava una cartuccia montblanc burgundy red.
tutta la città è ricoperta di parole, e gli esercizi commerciali non fanno eccezione: come abbiamo detto più volte, la cultura fa sempre fico (si vedano i post precedenti della serie “la cultura fa sempre fico”, dall’uno al quattordici). e allora milano è ancora una volta un grande foglio cosparso di didascalie, e queste didascalie hanno sempre a che fare con i libri.
ottica milano spectacles, viale corsica
qui i viaggi di gulliver sostengono una bella montatura classica e sono sostenuti a loro volta da uno yankee alla corte di re artù di mark twain. d’altra parte gli occhiali sono un oggetto molto importante per gulliver, che di fronte alla curiosità dell’imperatore di lilliput pensa bene di salvagualdarli: “[…] Finalmente consegnai le mie monete d’argento e di bronzo e la mia borsa con nove monete grandi d’oro e qualcuna piccola, il mio pettine, la mia tabacchiera d’argento, il fazzoletto e il taccuino. La sciabola, le pistole e i sacchi della polvere e delle palle furono trasportate all’arsenale imperiale; tutto il resto mi fu restituito.
Avevo anche un taschino segreto che non fu perquisito, dove tenevo un paio di occhiali di cui talora mi servo per la debolezza della mia vista, un piccolo telescopio e qualche altra bazzecola che credetti poco interessante per l’imperatore e che perciò non mostrai ai commissari, temendo che mi fossero in qualche modo guastate o perdute”.
ottica bergomi, corso colombo
la montatura metallica poggia sulla biografia di nicola e alessandra di russia di robert k. massie che poggia a sua volta sul pruriginoso memoirs of a woman of pleasure di john cleland.
moroni gomma, via matteotti
nella vetrina di moroni vediamo due diverse misure di lampade lumio, un paio di occhiali da sole poggiato su un manuale che tratta di cemento e una montatura da vista su un libro che ci dice tutto sulla plastica rinforzata con il fiberglass. su questi libri non ho nulla da dire; le lumio erano bellissime.
camargo domani, parrucchieri in via tiraboschi
sulla vetrina è impressa una vera e propria antologia: yusuf, federico garcía lorca, alda merini, paul gauguin, apuleio, pablo neruda.
dove praticando la flânerie si approda nel paese delle biciclette, vi si scopre una sorprendente penuria di librerie e si va a finire a cabot cove
ferrara la dolce
a vederla dall’esterno sembra la capitale della tranquillità. ritmi pacifici, la maggioranza dei negozi chiusi durante l’ora di pranzo, strade di media lunghezza con perpendicolarine color cotto (a ferrara, in effetti, è quasi tutto color cotto), perlopiù suggestive e quasi tutte solitarie.
piazza trento e trieste; sul fondo, palazzo san crispino, sede della libreria ibs+libraccio
se si passeggia verso il tramonto nei pressi di piazza trento e trieste, in pieno centro, andando verso via mazzini, nella zona della virtuale zona ebraica ferrarese – dall’esterno è persino difficile accorgersi della presenza della sinagoga, che invece c’è, anzi ci sono e sono tre: l’oratorio fanese, oggi utilizzato per i riti, l’ex tempio italiano e l’ex tempio tedesco – si viene colti da una sorta di nostalgia di medioevo, da un senso di attesa per qualcosa che non arriverà.
a ferrara può capitare di assistere a uno scambio di saluti lunghissimo, con i salutanti che parlano mentre camminano in direzioni opposte, ad alta voce, e le parole, vieppiù attutite nella scia dei passi che si allontanano, non perdono un grammo d’affetto, e sono molte, non sfumano nella distrazione, buonasera, buonasera, come sta, non c’è male, ma la mamma poi si è ripresa, sì, ringraziando il cielo, allora me la saluti, certo, non mancherò, arrivederci, arrivederci. una delle parole più belle che conosca, bonomia, benevola e rotonda, sovrintende alla città come sua cifra: tu chiedi un’informazione e una signora ti mette una mano sulla spalla mentre ti dà le indicazioni di cui hai bisogno; vai a palazzo bonacossi e la signora paola nascosi ti accoglie con grande gioia, ti riempie di notizie e dépliant, ti offre “una caramellina” che sta con le sue compagne in un cestino a disposizione del visitatore. finita la visita, paola ti viene incontro e ti chiede se hai bisogno del bagno, perché, dice in tono complice, “serve anche quello”. un’ospitalità squisita.
palazzo bonacossi, serie di erme in marmo rosso. il quattrocentesco palazzo ospita il museo riminaldi, raccolta di arredi, bronzi, dipinti composta dal cardinale gian maria riminaldi (1718-1789)
la manina paffuta del genio della forza
bottega romana, litoteca, vii secolo
il collezionista
purtroppo dopo il terremoto del 2012 le sale visitabili di palazzo schifanoia si sono ridotte a due, quella dei mesi e quella degli stucchi con il refuso. c’è di buono che a schifanoia e a bonacossi si accede con un unico, economicissimo biglietto.
ferrara offre cappelletti e cappellacci ovunque, e i negozi sono pieni di zucche: qui lo spirito di halloween deve entrare con grande naturalezza, favorito dall’abbondanza di cucurbitacee, dalla morbida tenebrosità post-crepuscolo e da quell’impressione di scarso popolamento che rende ovattata la città.
il castello, con le acque vive che lo circondano, è tutt’altro che imponente, come del resto gli altri edifici cittadini. tutto concorre alla costruzione dell’abusata espressione “a misura d’uomo”. e a proposito di luoghi comuni, è proprio vero che il mezzo di locomozione preferito, e usatissimo, dei ferraresi è la bicicletta.
questo strumento, contrariamente a quanto accade a milano, si inserisce con grande naturalezza nel contesto cittadino; se a milano le piste ciclabili sono raccogliticce, collocate maldestramente dove si è potuto, e i ciclisti – con quella loro eterna aria di parvenus convinti di essere salvatori della terra – mal si accordano al circostante, a ferrara i velocipedisti sfrecciano con splendida spontaneità sostanziata da una lunga tradizione. la riprova è che a ferrara le biciclette con gli imbarazzanti cestini decorati con finte verzure semplicemente non esistono. le signore mettono a posto le catene in autonomia, indossando piumini invece che manti in lana cotta, e non esistono negozi fighetti sull’esempio dell’upcycle milano bike café.
e che dire dei writers ferraresi? la città è talmente poco metropolitana che, almeno in centro, scrivono solo sulle pattumiere: un altro atteggiamento virtuoso che contribuisce alla bellezza, e salva da scempi di imbecilli che non sono banksy ed eiaculano (precocemente) le proprie letterine ovunque gliene colga l’uzzolo.
e le librerie? sono pochissime e poco degne di nota, hélas, a parte l’ibs+libraccio di piazza trento e trieste, nobilmente collocata nel palazzo san crispino dopo che l’architetto paolo arveda, come recita un opuscolo in distribuzione presso la stessa libreria, dopo i diversi progetti dei suoi predecessori, propose “un nuovo progetto complessivo per i piani della Loggia, maggiormente adeguato alle sopraggiunte esigenze legate all’insediamento della libreria, oggi ibs+libraccio”. e all’interno del porticato di san crispino, dal 1770 al 1836, risiedette “la reale”, corpo di guardia al ghetto ebraico, che comincia proprio in quel punto per inoltrarsi verso via mazzini.
in assenza di adeguati competitor, la libreria in città fa la parte del leone: è ampia, propone presentazioni al ritmo di un paio alla settimana ed esercita un sostanziale predominio, forse anche per un’offerta generosa che la vede aperta fino alle 23:30 nel fine settimana e per la possibilità di trovarvi nuovo, usato, qualche prima edizione e anche una scelta di ebook. il 4 novembre, per ora programmati fino al 25, comincia una serie di incontri intitolata “libraio per un giorno”, nel corso dei quali, leggiamo, il relatore “racconterà ai presenti il suo bagaglio di letture con auto-ironia e spontaneità: i classici che lo hanno formato, ma di più, i titoli che non abbandonano il suo comodino la notte, dai quali non si separa mai”.
dopo una rapida visita a palazzo diamanti, i cui diamanti non si vedono poiché è in restauro, mrs. cosedalibri ha raggiunto luoghi più defilati, svoltando a sinistra e camminando fino a via delle vigne, al fondo alla quale si trova il cimitero ebraico della città, l’antico orto degli ebrei compreso nella rinascimentale addizione erculea.per entrare in questo verdeggiante giardino dell’aldilà bisogna suonare un campanello: un atto banale, che nel silenzio e nella solitudine perfetti di quel tratto finale di strada, prima dei campi, si ha quasi paura di compiere. ad aprire è una gentile custode ottantenne, che dopo avermi salutata e invitata a firmare il registro dei visitatori mi riferisce, per scusarsi del ritardo nel rispondere, “stavo guardando la signora in giallo ma poi mi sono addormentata. ecco, esca da questa porta. la tomba di bassani è alla sua destra alla fine del muro. è in bronzo, non può sbagliare”.
bassani è onorato con un piccolo monumento di arnaldo pomodoro posto all’interno di un semicerchio. così lo scrittore descrive il cimitero in cui riposerà, nel giardino dei finzi-contini, riflettendo sul destino di coloro che non vi sono sepolti: “Io riandavo con la memoria agli anni della mia prima giovinezza e a Ferrara, e al cimitero ebraico posto in fondo a via Montebello. Rivedevo i grandi prati sparsi di alberi, le lapidi e i cippi raccolti più fittamente lungo i muri di cinta e di divisione e, come se l’avessi addirittura davanti agli occhi, la tomba monumentale dei Finzi-Contini. E mi si stringeva come non mai il cuore al pensiero che in quella tomba uno solo l’avesse ottenuto, questo riposo. Infatti non vi è stato sepolto che Alberto, il figlio maggiore, morto nel ‘42 di un linfogranuloma; mentre Micòl, la figlia secondogenita, e il padre professor Ermanno, e la madre signora Olga, e la signora Regina, la vecchissima madre paralitica della signora Olga, deportati tutti in Germania nell’autunno del ‘43, chissà se hanno trovato una sepoltura qualsiasi”.
lapidi e scritte, nell’orto degli ebrei, sono tra le più varie. alcune minuscole,
alcune riportanti le semplici iniziali del defunto,
alcune assai commoventi nelle loro manifestazioni di affetto da parte dei congiunti.
nora era una bella persona
le favole non finiscono mai
soffermarsi è stato molto bello. l’erba era intrisa di rugiada, nonostante splendesse il sole. molte tra le lapidi più vecchie andavano completando il loro processo di reintegrazione con la natura, semiaffossate nel suolo e ricoperte di erbe, muschi, foglie secche. un cimitero ad alto tasso di ossianesimo.
dopo la visita sono rientrata dalla porta per la quale ero uscita e ho cercato la signora, ma nulla: l’ho immaginata negli abissi del sonno, o in quelli di cabot cove, perciò ho aperto la porta principale e l’ho richiusa alle mie spalle senza far rumore. con l’animo colmo di letizia mi sono apprestata a ripartire verso la città della grande editoria, recandomi alla stazione ferroviaria. e la stazione, come è la stazione di ferrara?
come la maggior parte delle altre, la stazione di ferrara fa schifo, infestata da individui di dubbia reputazione, perdigiorno con preferenza per lo spaccio come metodo di sopravvivenza e atteggiamenti da rapper de noantri. non vengono dagli usa, tuttavia, e non sono kanye west.
ma per fortuna le bellezze di ferrara ancora sopravanzano il degrado:
qualche artigiano lavora ancora per la strada;
ci sono le finestre di vetro inciso;
il linguaggio è affettuoso anche nelle comunicazioni condominiali;
i preti portano ancora il cappello modello saturno;
alle poste di viale cavour c’è la sala di scrittura;
dove si incontra un vecchio amico nel bel mezzo di un affresco, si va a piedi dall’uno all’altro arrondissement e si approda in un giardino di delizie
i lionesi sono perlopiù pacifici e gentili: tutti coloro a cui ho chiesto indicazioni mi hanno risposto volentieri e in maniera molto circostanziata, e molti mi hanno accompagnata per un tratto assicurandosi che andassi nella direzione giusta.
durante le mie lunghissime passeggiate non ho mai provato disagio o sensazione di pericolo: sarà la lunga ombra del capitano chérif, ma la città sembra piuttosto tranquilla, fatti salvi alcuni inevitabili balordi che tuttavia non paiono comprometterne la sostanziale paciosità.
la bellezza e la calma dei lungofiume verso ora di pranzo, quando turisti e locali perlopiù mangiano ed è facile trovarsi quasi da soli a passeggiare, sono impareggiabili. le attività serali / notturne degli avvinazzati che là vanno a gozzovigliare dopo il tramonto sporca in alcuni tratti la maestosità delle acque: molte sono le bottiglie vuote sulle rive, qualcuna addirittura galleggia sul fiume.
lungo la saona, l’angolo formato da rue de la martinière e da quai saint-vincent, nel primo arrondissement, ospita il bellissimo fresque des lyonnais.
realizzata dagli artisti della cité de la création, l’opera cita e raffigura ventiquattro personaggi della cultura di origini lionesi (si veda qui per l’elenco dei personaggi).
andré-marie ampère
antoine de saint-exupéry
quale non è stata la sorpresa di mrs. cosedalibri nel vedere rappresentato anche il suo idolo bernard pivot, l’autore della televisione culturale francese, l’anima di “apostrophes” e di “bouillon de culture”! per chi comprende il francese, qui si può guardare una bella intervista a bernard.
bernard pivot, insuperato giornalista culturale
da rue de la martinière, passando per il quai saint-vincent, si approda all’immensa place bellecour, gigantesco nido di delizie letterarie. collocata tra saona e rodano, nel secondo arrondissement, è una piazza immensa, i cui giardini sono attrezzati con chioschi di ristorazione e panchine, e tutto attorno alle due fontane sono disposte sedie per chi desidera rilassarsi nei pressi dell’acqua, facendosi cullare dal rumore degli zampilli.
al numero 29 della piazza sorge la libreria decitre, parte di una catena e risalente al 1907, che mrs. cosedalibri ha visitato in piena rentrée scolaire: vasti settori dedicati a letteratura, scienze umane, turismo, arte, storia, religione, infanzia, gialli e fumetti, libri scolastici e un assortimento fiabesco di cancelleria. oltre a una piccola fornitura di inchiostri colorati per le sue stilografiche – nei colori radiant pink e harmonious green di waterman –, mrs. cosedalibri ha acquistato tre taccuini, tutti giapponesi, tra cui il favoloso life: tutti a righe, con una carta splendida, promessa di scrittura assai scorrevole. bisognerà adesso provarli con le stilografiche e capire se si contemperano con la grafite delle matite palomino.
dove, all’ingresso di una libreria fisica, si celebra l’integrazione tra la lettura su ebook e quella su libri di carta: tea, la soluzione per vendere libri digitali in libreria
la sezione cancelleria
i taccuini giapponesi
qui e sotto, caccia al tesoro nella libreria decitre: indovinare il titolo dalla citazione, con l’indizio del libraio
la sacra teca della pléiade
1,46 eventi al giorno in libreria
creare una casa in libreria: un fiore su un tavolo
in questa piazza assai libresca, in cui trovano posto anche le misteriose éditions baudelaire (solo su appuntamento, recita la targa: che vorrà dire?) troneggia la statua del lionese antoine de saint-exupéry, che ci guarda dall’alto in compagnia del piccolo principe.
place bellecour non finisce, ma si trasforma senza soluzione di continuità in place saint-antonin, dove al numero 5 si trova l’expérience, una libreria piena di fascino specializzata in fumetti, che vende anche stampe, action figures e il resto collegato al settore.
il gigantesco bouquet che conclude place saint-antonin e segna il confine simbolico tra la piazza e il fiume rodano
dove si entra in paradiso attraverso un arco di libri
“Libreria a vocazione generalista, Le Bal des ardents vende libri, ed essenzialmente libri. […] Accogliamo lettori, curiosi, amatori e flâneurs dalle due rive.”
dal cartoncino pubblicitario della libreria, a disposizione sul banco
a poca distanza dall’hôtel de ville, fermata hôtel de ville, in rue neuve 17, c’è la libreria le bal des ardents, magnifica nella sua forma e nella sua disposizione.
l’ingresso della libreria
accoglie il visitatore un arco di trionfo fatto di libri, che immette in un completo luogo di delizie, un eden in penombra.
la sezione polar
c’è il tavolo delle novità, e poi ci sono gli scaffali in caldo legno, con l’indicazione di ciò che contengono in un font straordinario; con proposte di catalogo ragionate e, apoteosi che ha mandato in sollucchero mrs. cosedalibri, uno scaffale dedicato al “dada etc.”.
i francesi, in campo editoriale, paiono avere parecchie idee (d’altra parte cosa ci si può aspettare da un paese che in un popolarissimo supermercato, nel settore cancelleria, espone un cartello con una guida sulla durezza delle mine?).
settore cancelleria del monoprix: indicazioni sui diversi tipi di mine
mi ha colpita in particolare una collana di libri di piccolo formato – la collection modes d’emploi dell’editore le monde à l’envers –, libriccini dedicati al mondo del lavoro, con testimonianze dirette in forma di storie, in formato 14 x 10 con una grafica davvero accattivante. la mécanique des lettres ha una sovraccoperta bellissima, nera e oro su fondo beige. solo 3 piccoli euro.
le libraie presenti al momento erano molto gentili e professionali, non masticavano chewing gum e parlavano un francese corretto.
l’arco della filosofia
le stampe giapponesi
il libro di alain decaux su victor hugo: un’enorme pubblicazione, forse usata, per dodici euro
la ciliegina sulla torta è stato lo scaffale con la papeterie gallimard: sobrio, estenuato, antimoleskine.
un taccuino gallimard che è andato ad aggiungersi alla collezione di mrs. cosedalibri
a taranto, in via di palma, c’è il negozio di vestiti blackout che per l’allestimento estivo ha scelto macchine per scrivere e libri, con piacevole effetto.
i fiumi nella poesia e nella prosa, che frescura! se non riusciste a rubarlo da blackout, sappiate che è disponibile su maremagnum
se si vuole comprare un libro in inglese (ma anche in qualche altra lingua), raro, fuori catalogo, usato, book depository è un luogo eccellente per cercare. pratica piccoli sconti, consegna gratuitamente in un centinaio di paesi ed è un luogo accogliente.
fondato da due studenti britannici nel 2004 all’insegna del “tutti i libri disponibili per tutti”, è stato acquisito da amazon nel 2011 ma ha fondamentalmente conservato la sua identità. e quando compri libri da loro, li ricevi in una busta di carta su cui è stampata la scritta “let the stories live on”. abbiamo bisogno d’altro?
com’è noto, spesso mrs. cose da libri prende un treno da milano e se ne va alla ricerca di tracce di librità nei luoghi del circondario. ieri il treno l’ha portata a verbania, comune-mamma di intra+pallanza sul lago maggiore e medaglia d’oro alla resistenza.
posti singolari, dove basta fare un passo e da verbania ti trovi nella sua frazione suna, e in cui il luogo vive quasi attorno a un’unica via. nel caso di pallanza è via ruga, che rappresenta una cesura netta tra la periferia e il centro: ci si arriva da uno stradone senza particolari attrattive e subito ci si immerge in un minuscolo borgo con tracce di negozi antichi, alcuni in attesa di essere affittati per dare vita a nuovi commerci.
tra questi negozi d’antan c’è il bar bottinelli, da meno di un anno trasformato in libreria dell’usato e dell’antico – la spalavera – da marco tosi e filippo terzi, che ne hanno fatto uno spazio piacevole come una casa. i libri, selezionati con cura, sono ovunque: in vecchie credenze, su piccole scrivanie, sistemati su librerie create ad hoc e ammucchiati in intelligente disordine su un enorme tavolo posto nella seconda stanza del locale: qui trova posto una miscellanea varia e abbordabile.
in vetrina, la biografia di arnoldo mondadori scritta da enrico decleva
legati al proprio territorio e desiderosi di coltivare con esso un legame saldo, i due librai tengono, oltre alla varia, una selezione di libri di storia e geografia locale e un minuscolo scaffale di libri nuovi. nell’ultima stanza si trova una solidissima libreria ricavata da legname di ponteggi, realizzata dal falegname di fiducia, in cui i libri sono suddivisi per temi.
libri di piccole dimensioni su una piccola scrivania
l’immenso tavolo della miscellanea
il libraio marco tosi
la libreria ricavata dai ponteggi
alla spalavera tutto è consultabile e leggibile: i librai incoraggiano a sostare su sedie e comode poltrone e a leggere quanto si desidera. e a proposito di comfort e piacevoli soste, nonostante le origini del luogo che la ospita la spalavera tiene per ora una politica no coffee, nel senso che in libreria si può girare, sostare, leggere a sazietà ma senza tazzine in mano. in questo modo, sostiene il libraio tosi, ci si può concentrare unicamente sui libri.
per leggere e parlare
in libreria si tengono incontri diversi, dalle presentazioni ai concerti, ma il collegamento con cibi e bevande avviene solo all’esterno, in occasione di eventi organizzati in collaborazione con bar e ristoranti, o in occasione della transumanza estiva: nei fine settimana del periodo da fine maggio a settembre spalavera sposta il suo mercato del libro usato sull’alpe colle, nel parco nazionale della val grande, in una sorta di baita-libreria che offre all’escursionista una selezione di buoni libri e marmellate, formaggi e birra artigianale da acquistare.
una scelta, nella nostra epoca di gastrolibrerie, davvero controcorrente, se romano montroni – nome che curiosamente a marco tosi non dice nulla – già affermava nel 2009: “Se è vero che la libreria deve restare legata alla qualità della proposta, il binomio sarà con la cultura enogastronomica riscoperta da Slow food e il tessuto connettivo la capacità di far diventare i negozi luoghi di evento culturale, incontro fisico tra autori e lettori e palestra di idee”.
la scelta di tosi&terzi farà senz’altro felici i librai duri e puri, quelli del “qui si vendono libri e non salami”. a questo proposito, e per spezzare una lancia a favore di quelli che amano vivere in libreria con una tazza in mano, desidero ricordare la splendida fioritura delle coffee houses londinesi durante l’epoca di samuel johnson: “Londra divenne la meraviglia del mondo, il cuore pulsante delle notizie, degli spettacoli e del divertimento. Come New York negli anni venti, rappresentava una geografia dell’immaginazione che rapiva, era il soggetto principale, spesso negativo, di opere teatrali, di poesia e delle stampe di Hogarth. Simbolicamente, il luogo chiave della nuova cultura pubblica era la coffee house. Nel 1739 ne esistevano più di cinquecento. Insieme con le taverne, erano luoghi per il piacere e per gli affari, frequentate da clienti di tutte le estrazioni sociali. Vi si leggevano i giornali, i critici vi dibattevano per ore, mentre gli scandali sessuali e le chiacchiere politiche erano protagonisti di infiammate discussioni”.
che siate pro o contro, è certo che alla spalavera di pallanza manca il caffè, ma senz’altro non mancano le idee: oltre alle iniziative proprie e a quelle congiunte, i librai affittano il loro spazio per altri eventi e intrattengono un fecondo dibattito con gli abitanti. ed è incoraggiante apprendere che la libreria riesce a sostenersi da sé: un piccolo miracolo cui guardare.