cose da libri

dove si esplorano parole e si va a caccia di idee


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Fisime e nuove fisime (itineranti e praticissime)

“Una recensione letteraria

Mi è arrivata a casa la nuova guida telefonica. È scorrevole, ma ha poca trama e un sacco di personaggi.”

Del teatrante – è autore e attore del Pupkin Kabarett – e scrittore Stefano Dongetti e delle sue Fisime avevamo già scritto qui e qui. Dongetti ha continuato a scrivere ed ecco le Fisime da passeggio, questo il titolo dell’aureo libretto, di formato piccolo, più che tascabile, sempre edite dal triestino Calembour. Il progetto grafico minimal è di Marco Covi, che già aveva curato quello delle Fisime grandi.fisime-da-passeggio

Le Fisime piccole, contrariamente a quanto accadeva con le sorelle maggiori, appaiono più calate nella contemporaneità. Dongetti scende nell’arena dei social – parla di Facebook e inventa un gustoso Tripadvisor dell’aldilà –, irride vezzi contemporanei come quelli di mimare le virgolette quando si parla, discetta di politica: “[…] Sulle riforme c’è anche da dire che queste di solito sono sempre serie. Nessuno, almeno pubblicamente, pare voler propendere per delle riforme ridicole o umoristiche, anche se gli esempi non mancano”.

Nonostante la presenza di un paio di monologhi, rispetto al libro precedente Dongetti si affranca da quella che avevamo definito “nostalgia del palcoscenico”: Fisime da passeggio è una capricciosa miscellanea che vive a sé sulla carta, pervasa da un cinismo malinconico, mai urticante, sempre sostanziata dalla passione civile del suo autore. Si conclude con una divertentissima serie di giochi di parole (qui lo immagino, Dongetti, al Caffè San Marco di Trieste, dove è di casa, penna e taccuino alla mano, mentre annota certi improvvisi guizzi), tra i quali trascelgo il seguente: “Bibliofili: gli accumulatori seriosi”.

Stefano Dongetti, Fisime da passeggio, Calembour, Cormòns 2016, 5 eurini ottimamente spesi.

Se non siete di Trieste, compratelo online su la botega triestina, qui.

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Il Pupkin Kabarett. Al centro, Stefano Dongetti


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Trieste, o della gentilezza_feuilleton_due

2 aprile

Dove si visitano chiese di diverse confessioni, si approda a un antico caffè, si visita un museo in compagnia di un rabbino e si finisce la serata in lieti conversari

sannicoloSulla via per la cattedrale di San Giusto, passiamo dalla chiesa greca di San Nicolò, dove ci accoglie un gradevole odore di cera per pavimenti e di pulito.

Nell’edificio rischiarato da sontuose dorature, un uomo fa le pulizie cantando una qualche litania ellenica. Lo spazio centrale è libero e accentua la sensazione di ariosità; i sedili per i fedeli sono disposti su due file laterali.

Fuori dalla chiesa ci aspetta l’autobus numero dieci, che ci porterà ai piedi del colle di San Giusto. Accompagna la salita per via Capitolina, sui due lati della strada, il Parco della Rimembranza.

DSC01452Su pietre carsiche sono incisi i nomi della gente triestina caduta nelle guerre.

DSC01455Lungo la strada incontriamo il Monumento ai Caduti della Grande Guerra Mondiale, bronzi possenti che raffigurano eroi romano-fascisti.

35SGiustoLa cattedrale di San Giusto è una cattedralina con un bellissimo rosone gotico di pietra arenaria.

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Veduta di Trieste dagli spalti del castello di San Giusto

Il castello, che sorge di fianco, costruito nel 1363 dai veneziani e modificato nell’assetto attuale dagli austriaci a metà del 1400. Dopo aver visitato il Lapidario tergestino e l’armeria ripartiamo alla volta del Caffè San Marco, collocato in una via che non lascerebbe presagire tanta magnificenza, e invece.

DSC01487Un ambiente pieno di luce, sulle pareti e sul soffitto foglie, fiori e legno di mogano. Pranziamo accanto al tavolo dove viene a scrivere Claudio Magris, al momento occupato da una quartetto di tedesche.

DSC01488I camerieri sono giovani, cortesi, solleciti.

DSC01500È del tutto assente, in questo magnifico caffè restaurato di recente e dotato di una libreria, di un pianoforte, di una saletta per le presentazioni dei libri, quell’insolenza, indolenza e fighettaggine, per fare un esempio, del bar Magenta a Milano, o quell’aria da signora mummificata con il rossetto sbavato propria del pur magnifico caffè Sant’Ambroeus.

sinagoga-triesteCi godiamo il pranzo, la visita, la grande tranquillità del luogo, che confina da un lato con la sinagoga, costruita nei primi anni del Novecento su progetto di Ruggero Berlam. Il tempio è visibile all’interno solo di domenica, pertanto abbiamo dovuto rinunciare al piacere di visitarlo.

Non così per il museo ebraico Carlo e Vera Wagner, appena riaperto al pubblico dopo il suo riordinamento.

DSC01524Ce ne ha aperto le porte rav Ariel Haddad in persona, che ha avuto la gentilezza di mostrarci il percorso. Sulle pareti e nelle teche è illustrata la antica storia degli ebrei di Trieste; in una piccola stanza dedicata alla Shoah, una serie di lettere, documenti, oggetti muti, impaginati nelle teche con rigore, producono una compostezza straniante.

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Eccolo, Bobi

DSC01526Al primo piano un paio di sale dedicate ai personaggi della cultura, tra cui non manca Bobi Bazlen, e poi vetrine dedicate a Saba, Svevo, Tomizza.

La sera si torna al Caffè San Marco per l’aperitivo, immersi in un brano della vita culturale della città: si beve con Rino Lombardi, editore e anima del Museo della Bora; con Stefano Dongetti, autore e attore del Pupkin Kabarett, presente al tavolo con gli altri Pupkin Alessandro Mizzi e Laura Bussani. Passano a salutare scrittori, fumettisti e altri tipi bizzarri. D’altronde, mi riferiscono gli amici, a Trieste per chiamare qualcuno gli si dice “Vieni qui, matto” (non so se valga anche per le signore).

anita pittoni2Si va a cenare da Pepi, dietro piazza dell’Unità, tempio della carne bollita e delle patate in tecia. Accanto al locale Rino mi fa notare una targa dedicata ad Anita Pittoni, su quella che fu la sua casa (qui i documenti del fondo Pittoni). Con Lombardi e Dongetti si passeggia fino al teatro Miela, di fianco al Porto vecchio, che però è chiuso e non si può visitare. Da lì torniamo verso il centro: nella conversazione entrano l’aria pungente della notte, i fantasmi di Svevo, di Joyce e di Angelo Cecchelin, comico di cui non conoscevo l’esistenza e di cui parla Dongetti (a Cecchelin, nel luglio scorso, è stata dedicata una serata a cinquant’anni dalla morte, nell’ambito di LunaticoFestival, con direzione artistica dei Pupkin)

La piazza dell’Unità, gelida e tranquilla, è il luogo ideale per questi conversari. Di recente, in un punto della pavimentazione vicino alla fontana dei Quattro continenti, è stata apposta una targa, la sera illuminata da un apposito raggio di luce, che ricorda il punto da cui nel 1938 Mussolini promulgò le leggi razziali (la “chiara, severa coscienza razziale” che serviva al mantenimento dell’impero).

Il Belcinque mi aspetta, con il suo odore di dolci che aleggia nella cucina, locale dal quale devo transitare prima di arrivare in camera.

[continua]