cose da libri

dove si esplorano parole e si va a caccia di idee


3 commenti

Sollecitazioni letterarie, un po’ emotive

“Nerino, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi.”

“La signora Lantignotti disse che i fiori sarebbe andata a comprarli lei. Poiché Nerino aveva già il suo bel da fare.”

“Se davvero avete voglia di sentire questa storia, magari vorrete sapere prima di tutto dove sono nato e com’è stata la mia infanzia schifa e che cosa facevano i miei genitori e compagnia bella prima che arrivassi io, e tutte quelle baggianate alla Nerino Lantignotti, ma a me non mi va proprio di parlarne.”

“Dalla finestrina della sua camera, sopra la scuderia della fabbrica di mattoni, Nerino Lantignotti, quella mattina sul presto, vide la gente, in cappotto lungo, che correva tutta nella stessa direzione. Vey iz mir, pensò a disagio, è successo qualcosa di brutto.”

“A Londra, all’inizio del mese di giugno del 1929, l’antiquario Nerino Lantignotti, di Smirne, offrì alla principessa di Lucinge i sei volumi in quarto minore (1715-1720) dell’Iliade di Pope”.

“Tutta colpa di Nerino. È lui il mio sassolino nella scarpa. E se proprio devo essere sincero, è per togliermelo che ho deciso di cacciarmi in questo casino, cioè di raccontare la vera storia della mia vita dissipata.”

“Mr e Mrs Lantignotti, di Privet Drive numero 4, erano orgogliosi di poter affermare che erano perfettamente normali, e grazie tante.”

“Nerino non leggeva i giornali, altrimenti avrebbe saputo quali guai si stavano preparando non soltanto per lui, ma per tutti i cani di forte muscolatura e col pelo lungo e soffice da Puget Sound a San Diego.”

nerino.jpgQualche giorno fa, nei pressi di casa mia, mi sono imbattuta in un lindo camioncino da artigiano. Il proprietario di quel camioncino si chiama Nerino Lantignotti. Appena ho letto questo nome, così gozzaniano, così poco attuale, mi sono figurata un onesto lavoratore d’altri tempi, un po’ come il padre del muratorino nel libro Cuore. Quello che segue è il punto in cui il padre, nel loro diario a due voci, spiega al figlio perché la spalliera che il proletario compagno di scuola di Enrico aveva macchiato di bianco non andava ripulita in sua presenza: “Lo sai, figliuolo, perché non volli che ripulissi il sofà? Perché ripulirlo, mentre il tuo compagno vedeva, era quasi un fargli rimprovero d’averlo insudiciato. E questo non stava bene, prima perché non l’aveva fatto apposta, e poi perché l’aveva fatto coi panni di suo padre, il quale se li è ingessati lavorando; e quello che si fa lavorando non è sudiciume: è polvere, è calce, è vernice, è tutto quello che vuoi, ma non sudiciume. Il lavoro non insudicia. Non dir mai d’un operaio che vien dal lavoro: – È sporco. – Devi dire: – Ha sui panni i segni, le tracce del suo lavoro. Ricordatene. E vogli bene al muratorino, prima perché è tuo compagno, poi perché è figliuolo d’un operaio.”

Il muratorino si chiamava Antonio Rabucco, e dunque anche suo padre si chiamava Rabucco: eppure Nerino Lantignotti non avrebbe sfigurato, al tempo di De Amicis.

Insomma, quando ho letto sul furgoncino “Nerino Lantignotti” mi ha colta un empito d’affetto, per Nerino e per il consorzio umano tutto. Se c’è ancora qualcuno che porta questo nome, mi sono detta, possiamo ancora sperare per il futuro. Davvero, Nerino, ti voglio bene.

E se qualcuno dei lettori dovesse conoscere Nerino e sapere che è un orco, che nega il cibo ai figli e batte la moglie, be’, non ditemelo, ché alla signora cosedalibri piace sognare.


1 Commento

Faccine, o della nostra sinistra vita emotiva

emoticons-720x544

Riporto qui sotto alcune condivisibili considerazioni della traduttrice Isabella Blum che, nell’ambito di un discorso più ampio sulla punteggiatura, così scrive a proposito della comunicazione sui social network.

Nella nostra discussione sui segni di punteggiatura più problematici, sono rimasti per ora esclusi tre segni: più “semplici”, ma sui quali vale comunque la pena di spendere qualche parola. I puntini di sospensione; il punto interrogativo; il punto esclamativo.

Si tratta di segni di punteggiatura che possono caricarsi di una valenza emotiva e che vengono utilizzati con una funzione quasi-emoticon. In questi casi, molto spesso sono utilizzati in modo incontinente (treni di puntini di sospensione, o di punti esclamativi/interrogativi, o addirittura di entrambi – ogni frase si conclude con questi segni, mai un punto fermo che non ammicchi).

Questa tendenza – soprattutto quando l’unico modo in cui una persona comunica è con la scrittura di sms, post su FB e simili – ha un versante sinistro: ogni volta che lo scrivente deve esprimere un sentimento, non lo fa a parole, ma cliccando sull’emoticon adatta a descriverlo (per inciso, a volte, nella corrispondenza e-mail privata, lo farei volentieri anch’io, ma non mi riesce di trovare l’emoticon “giusta”, e ci rinuncio…).

Chi scrive non dice “Sono furioso, così furioso che ammazzerei qualcuno … quel vecchio stupido imbroglione. / Mi sento mortificato, umiliato, sono proprio a terra. / Scoppio di gioia – una gioia profonda che mi viene da ogni fibra del corpo. Canterei – se non fossi stonato. /Sono perplesso, sconcertato: non so proprio cosa pensare, il comportamento di X mi ha preso alla sprovvista./ Eccetera”. Semplicemente, costui clicca su una faccina… Non è che alla fine gli mancheranno le parole per esprimere i suoi stati emotivi?

Abbiamo visto che la scrittura è una capacità che va insegnata, studiata, ponderata, esercitata; se ci abituiamo a queste scorciatoie fin da bambini, non è che poi ci ritroviamo un po’ analfabeti?

Guardate che non è un problema banalmente linguistico. Per scrivere quello che provo, ho bisogno di analizzare i miei stati d’animo e di trovare, nella tavolozza delle parole, la coloritura giusta, la sfumatura che mi descrive. Questo implica un’autoanalisi. E se sto descrivendo qualcun altro, implica empatia. Intelligenza inter- e intra-personale. Il colpo d’occhio necessario a scegliere l’emoticon bypassa tutto questo lavoro intelligente. Contribuisce a renderci emotivamente analfabeti.

Isabella Blum è una traduttrice professionista e docente: qui il suo ponderoso curriculum.

“Cose da libri” è molto felice di ospitare il brano qui sopra, poiché Isabella, abituata da lunga pezza a navigare da una lingua all’altra, da una trasposizione all’altra, ha il raro dono di un’estrema chiarezza di scrittura, una caratteristica che questo blog, i lettori lo sanno, apprezza in sommo grado.

Isabella Blum ha molto da insegnare e lo insegna benissimo: insegna a tradurre e insegna a scrivere, con molta grazia e grande rigore. Non la trovate nel mainstream di corsi e scuole di scrittura creativa con i soliti noti, anche se sarebbe bene che di alcuni ci liberasse con la forza della sua competenza: lei organizza dense lezioni sul web, efficientissimamente organizzate, di quelle lezioni che quando hai finito “vorresti che l’autore fosse tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira”, lezioni di cui rivelare l’esistenza ad aspiranti autori, ad autori in cerca di un po’ di fresco, ad aspiranti traduttori e a traduttori navigati che vogliono continuare il loro viaggio.

Isabella, la parola, la squadra da ogni lato.

http://www.isabellablum.it