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la vera finta società del marketing totale

in tempi di social network è diventato difficilissimo per le aziende tenere segreti i propri meccanismi di marketing. in un’epoca che porta in trionfo la parola “condivisione” su un baldacchino tutto stucchi e ori, “segreto” e “riservato” sono termini scandalosi, sacrificati in ogni momento sull’altare dell'”autenticità”, dell'”onestà”, dell'”integrità” dell’azienda nei confronti del cliente re.

gli strateghi dei social media, impegnati a compiacere i clienti tiranni, creano loro attorno un edificio dove tutto deve sapere di domesticità, di valori etici, di sincerità a ogni costo, di trasparenza. un cambiamento spiegato molto bene ai suoi albori negli stati uniti da gary vaynerchuck nel suo the thank you economy.

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ogni lamentela su twitter è sacra, ogni appunto su facebook da considerare con la massima serietà, ogni scoppio emotivo illustrato su instagram degno di attenzione. tutto questo nella società dei diritti ha senz’altro migliorato la condizione del cliente, che da possibile turlupinato è passato a soggetto attivo, in grado con una catena di post di affossare le sorti di un marchio sia pure prestigioso. prendiamo il recente scandalo planetario che ha visto protagonisti dolce & gabbana: una serie di spot malaccorti per promuovere la prima sfilata del marchio a shanghai, con ingenui riferimenti a una comunione tra culture rappresentata dal cibarsi di specialità italiane usando bacchette cinesi, sulla base di oleografici stereotipi afferenti a entrambe. fin qui tutto mediocremente bene. lo scandalo degli ingenui scandali risiede in uno tra gli spot, quello in cui una ragazza cinese in abito lustrinato d&g affronta un enorme, falliforme cannolo siciliano e una paternalistica voce fuori campo le chiede se sia troppo grosso per lei.

spot-kWaH-U3060951637582a3-1224x916@Corriere-Web-Sezioni-593x443-kYhB-U30601003460328imF-1224x916@Corriere-Web-Sezioni-593x443.jpgmi appello all’onnipotente chiedendogli che diavolo gli è preso di ispirare il copywriter con questa vastissima cazzata e come hanno fatto d&g ad approvare la stessa. il collegamento con il discorso che stavamo facendo è: come sarebbe andata in epoca pre-social? forse la cosa sarebbe passata sotto silenzio, oppure un solerte ufficio stampa avrebbe cercato di rimediare con qualche comunicato surreale, sostenuto da motivazioni altrettanto surreali.

invece d&g – soprattutto g, nella realtà, e nella fattispecie su instagram, portatore di robusti insulti poco rispettosi delle necessità del marketing – hanno dovuto piegarsi alla tirannia social e hanno dovuto diffondere un video in cui, prostrati, pallidi e malvestiti, hanno confezionato un frusto invito alla bellezza della diversità e spinto il lato grottesco dell’intera operazione fino alle scuse proclamate all’unisono in cinese.

il sentimento preponderante è la pena. non vogliamo negare gli aspetti positivi di questo tipo di marketing che mette al centro il cliente, ma proviamo un filo di nostalgia per quell’atmosfera più segreta, più fetente, meno etica delle strategia pre-social: paperon de’ paperoni, dove sei?

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